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Dopo cinquant'anni di incuria e menefreghismo, ci spetta di diritto
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di Matteo Cantile

La Liguria deve avere un proprio posto nel nuovo Governo: è una richiesta legittima, non negoziabile e decisiva per il futuro della nostra regione. Per Primocanale è stato un mantra dell’intera campagna elettorale e sarebbe stato valido per qualunque maggioranza fosse uscita dalle urne: essere rappresentati nel Consiglio dei ministri è un fattore chiave per tentare di risolvere i tanti problemi che ancora attanagliano il nostro territorio.

Secondo le indiscrezioni circolate ieri, rilanciate dall’agenzia Dire, il nome più caldo della politica ligure destinato a un ministero (peraltro di primo piano, le infrastrutture), Edoardo Rixi, avrebbe incassato la bocciatura di Fratelli d’Italia. Si tratta, appunto, di indiscrezioni che non citano fonti ufficiali e si prestano alle più svariate interpretazioni: siamo, del resto, nelle due settimane cruciali per la definizione della squadra di Governo e nei partiti è la fase dal ‘tutti contro tutti’. E’ quindi possibile, persino probabile, che il nome di Rixi sia finito in mezzo a un gioco più grande, relativo al risiko di tutti i dicasteri o a tentativi di destabilizzazione difficilmente leggibili. Del resto Matteo Rosso, ligure come Rixi e coordinatore regionale del partito di Giorgia Meloni, ha seccamente smentito che Fratelli d’Italia possa essere contraria alla candidatura dell’esponente leghista (LEGGI QUI).

Ma rileggendo nel merito la contestazione dell’anonimo esponente del partito di Giorgia Meloni, emerge una posizione che dobbiamo contestare recisamente: Rixi non sarebbe l’uomo giusto perché ‘genovacentrico’.

Non sapendo a chi addebitare la panzana è necessario rivolgere a un pubblico più generale almeno due domande: conoscete la storia infrastrutturale di Genova? Comprendete il ruolo che questa città ricopre nell’economia nazionale? Se il problema del prossimo ministro alle infrastrutture è il suo attaccamento a Genova e alla Liguria, significa che a queste domande si sono risposti altrettanti “no”.

Genova è il primo porto d’Italia: movimenta più container di qualunque altro scalo italiano ed è il terminale sud di uno dei corridoi economici più importanti d’Europa (il cosiddetto Reno-Alpi, già conosciuto con il più appropriato Genova-Rotterdam); il complessivo sistema portuale ligure, che oltre a Genova comprende gli scali della Spezia-Marina di Carrara e Savona-Vado, alimenta l’economia nazionale più di qualunque altro, non solo nel settore commerciale ma anche in quello crocieristico: se si mettono insieme i terminal passeggeri di Genova, La Spezia e Savona si configura il primo polo crocieristico del Paese, con numeri non dissimili al primo porto del Mediterraneo, Barcellona. A fronte di questa posizione di dominio del sistema portuale italiano, la Liguria è una regione completamente dimenticata dalla infrastrutture.

Partiamo dalle ferrovie: sul nostro territorio non esistono collegamenti ad Alta Velocità (che politici ben poco ‘genovacentrici’ hanno riservato ad altre aree d’Italia), non esiste un collegamento ad Alta Capacità (lo sarebbe il Terzo Valico in direzione Milano, se fosse possibile completarlo, assieme al Quadruplicamento della Tortona-Milano). Sempre in Liguria sono ancora presenti quasi 32 km di ferrovia a binario unico (la Finale – Andora) e il secondo porto italiano per tasso di intermodalità, quello della Spezia, secondo solo a Trieste, è ancora privo di un efficace collegamento ferroviario con la pianura padana (il raddoppio della Pontremolese è una delle tante chimere) e grava interamente sul nodo di Genova (i cui lavori di ammodernamento sono in storico ritardo).

Passiamo alla gomma. La Liguria è la terra delle autostrade più disastrate d’Italia: al di là della tragedia del Morandi o di quelle sfiorate del viadotto ‘Madonna del Bosco’ nei pressi di Altare o della volta crollata nella galleria Bertè, le gallerie non sono a norma europea, i cantieri sono destinati a restare attivi per anni e non ci sono collegamenti alternativi all’autostrada (la Gronda, con tutti i pasticci che la riguardano, è rimasta così tanto nei cassetti da apparire obsoleta prima ancora di iniziare a realizzarla). Il tutto nella regione che ha, al varco di Ventimiglia, il secondo accesso camionale più trafficato d’Italia dopo il Brennero.

E poi c’è l’aria. Alitalia è stata, per Genova, un pesantissimo freno allo sviluppo dell’aeroporto Cristoforo Colombo: è da Roma che si sono delineate le strategie per impedire a ogni compagnia concorrente di offrire ai liguri un’alternativa economica al volo di Stato verso la capitale. Se ci fosse stato un ministro almeno un pizzico ‘genovacentrico’ non ci troveremmo certo in questa penosa condizione.

A tutto questo va aggiunto che il porto di Genova, tra investimenti propri, dello Stato e tramite Pnrr, è al centro di un cambiamento epocale che ha nella nuova diga foranea il cuore della sua rivoluzione: un'opera gigantesca che a causa  delle tensioni internazionali e il rincaro delle materie prime rischia ripercussioni che proprio il Governo nazionale deve aiutarci a sventare. 

E’ quindi legittimo che i partiti discutano su come incastrare le tessere del nuovo Governo; è giusto che ogni nome di potenziale ministro venga scrutinato con la massima attenzione. Ma togliere alla Liguria ciò che riteniamo indispensabile, cioè un ministro che compensi una volta e per sempre tutti i danni che sono stati perpetrati al nostro territorio, è un’ipotesi che non vogliamo nemmeno prendere in considerazione.

Rixi ha svolto egregiamente il ruolo di viceministro alle Infrastrutture: i partiti sono liberi di proporre nomi alternativi. Ma è indispensabile che quel nome sia ligure, conosca i problemi della Liguria e aiuti la regione a risolverli. Dopo cinquant’anni di menefreghismo e incuria, ci spetta di diritto.  

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