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di Matteo Cantile

Il sorprendente risultato delle primarie del Pd, con la vittoria di Elly Schlein che ha sfilato al suo rivale, Stefano Bonaccini, una vittoria che gli osservatori davano per certa, ha riacceso l’attenzione sullo strumento che il Partito Democratico ha scelto per selezionare la propria classe dirigente.

La vittoria della giovane deputata, la prima donna a guidare il partito e anche la più giovane (Renzi, quando ottenne la segreteria, aveva un anno di più) è anche la prima nella storia del Pd in cui il risultato degli iscritti, che avevano preferito Bonaccini con largo distacco, è stata smentita dal voto aperto a tutti. Ed è forse proprio quest’ultimo punto a generare i maggiori dubbi sull’efficacia delle primarie nella selezione dei ruoli chiave di un partito, qualunque esso sia.

Breve riepilogo a scopo didattico. Le primarie del Pd si svolgono in due fasi: la prima, aperta ai soli iscritti, ha lo scopo di ridurre a due il numero dei candidati in corsa; la seconda, invece, è il classico ballottaggio tra i due esponenti più votati al quale però può partecipare chiunque, indipendentemente dalla propria appartenenza politica. Un iscritto al Movimento 5 Stelle o perfino di Fratelli d’Italia avrebbe potuto mettersi in coda, versare il contributo di 2 Euro, ed esprimere la propria preferenza sul candidato che avrebbe poi dovuto guidare un partito avversario.

Questa formula è stata sempre sbandierata come un segnale di ampia democrazia interna e, al netto di qualche episodio controverso, come i famosi cinesi in fila per votare alle primarie Paita-Cofferati in Liguria, non aveva mai creato grossi problemi: il voto degli iscritti e quello popolare, infatti, avevano sempre restituito risultati coincidenti. Ma oggi, con il ribaltone firmato Schlein, si è arrivati al paradosso di avere eletto un segretario che non rappresenta la volontà degli iscritti al partito che è da oggi chiamato a guidare.

Nulla di scandaloso, è bene intenderci: le regole erano chiare fin dal principio. Ed è poi vero che molti di coloro che hanno partecipato al voto di domenica potevano non essere iscritti al Partito Democratico ma considerarsi elettori d’area, interessati cioè alle vicende del Pd e vogliosi di imprimere un cambiamento alla sua leadership. Questo però non toglie che i veri militanti del partito, quelli che ogni giorno lo vivono e lo alimentano, avevano un’idea diversa rispetto a quella che si è delineata nelle urne. Credo che questo sia un aspetto controverso delle primarie, meritevole di un approfondimento interno al Partito Democratico.

Resta sullo sfondo un altro aspetto, non meno rilevante: tra gli iscritti al Pd e il Paese reale, anche quello che appartiene idealmente alla stessa area politica, vi è un profondo distacco. Perché è anche possibile, come molti notisti politici stanno osservando in queste ore, che una parte dei voti diretti a Elly Schlein siano arrivati da forze estranee ai Dem, ma è del tutto improbabile che essi rappresentino la maggioranza degli elettori. E’ invece molto più credibile che domenica si siano messi in coda tanti elettori democratici delusi dalle scelte degli ultimi anni, stanchi dei giochi di potere che hanno caratterizzato il partito, spinti a credere che un ritorno a valori più dichiaratamente ‘di sinistra’ fosse la via giusta per recuperare terreno e consenso. O, più complessivamente, che quei valori rappresentassero meglio la tradizione del Partito Democratico.

E questa spinta, che è esterna solo fino a un certo punto, Elly Schlein è stata bravissima a raccoglierla e incanalarla in un progetto politico che forse non è ancora chiaro nei dettagli ma già alimenta speranze ed entusiasmi.

Il compito della nuova segretaria non sarà facile: rischia di spingere il Pd in una posizione troppo simile a quella già occupata dal Movimento 5 Stelle e di lasciare campo libero al Terzo Polo sulla sponda più moderata del centro sinistra. Ma almeno darà al Partito Democratico una nuova prospettiva di sviluppo.

Quale sia il suo destino, comunque, lo capiremo presto, quando si vedranno la composizione della sua segreteria e i ruolo che vorrà attribuire agli esponenti dell’establishment del suo partito: tra gli altri ad Andrea Orlando, che è parte della classe dirigente delle ultime stagioni e che pure si affrettato a riempire Schlein di profonde congratulazioni. E’ giovane, è donna, vuole un Pd diverso: la chiameremo ‘Elly la rottamatrice’?