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di Franco Manzitti

Il clamoroso ritiro di Edoardo Garrone dalla corsa alla presidenza di Confindustria, annunciata alla vigilia della sfida con Emanuele Orsini, è anche uno schiaffo a Genova.

Senza voler essere troppo miopi o limitati ai nostri confini questo gesto improvviso, spiegato in una lunga lettera agli imprenditori che convince poco, rappresenta una sconfitta per Genova che aveva espresso per la prima volta nella lunga storia confindustriale addirittura due candidati “forti” e allineati alle nuove esigenze di rappresentanza dell'associazione degli imprenditori, bisognosa di una presidenza legata alla industria “pesante”.

E che ne esce con le pive nel sacco perchè il risultato è che l' improvvisa candidatura di Garrone ha finito con eliminare prima Antonio Gozzi, partito per primo e con moltissime possibilità di affermazione e poi lo stesso Garrone, che aveva le sue chance, infilzato dai voti del presidente Federacciai, confluiti su Emanuele Orsini nel riepilogo finale.

Il derby genovese, come avevamo segnalato subito, ha finito con il fare male proprio a Genova, che dopo sessanta anni avrebbe potuto conquistare la presidenza in un momento cruciale del suo sviluppo e anche in quello delicato di Confindustria, che inseguiva un ruolo più significativo, dopo tante presidenze rispettabili, ma non certo incisive.

Emanuele Orsini, persona e imprenditore importante e di vaglia senza dubbio, correrà da solo la finale dell'elezione perchè i genovesi sono stati eliminati in una vicenda che ha, dal fronte di Garrone poche spiegazioni plausibili o plausibili solo in una sua ottica.
Gozzi è la vittima, “colpevole” di essersi candidato subito, di avere raccolto molti consensi, di essere stato escluso dalla corsa con un verdetto dei tre saggi, tutt'ora non del tutto chiarito.

Uno degli aspetti incredibili di questa vicenda è che Garrone si era dimostrato inizialmente favorevole alla candidatura del presidente di Duferco con lo stesso favore che era stato manifestato; e anche con un certo entusiasmo, da suo cugino Giovanni Mondini, presidente di Federindustria Liguria.

Insomma la famiglia era pro Gozzi. Poi è successo che il presidente di Erg, Gaslini e Sole 24 ore è sceso improvvisamente in campo. I “rumors”, ma non solo quelli, hanno raccontato che la sua folgorante candidatura era stata costruita in un incontro tra Emma Marcegaglia, la “zarina” di Confindustria, Diana Bracco e con l'approvazione di Luca di Montezemolo, contrari a Gozzi e legati da un lungo filo di collaborazione ai vertici dell'associazione imprenditoriale: Garrone vice sia di Marcegaglia che di Montezemolo, dopo essere stato presidente dei Giovani Industriali nel periodo più brillante della sua carriera associativa.

Il confronto che si è aperto è diventato così una specie di “corsa a eliminazione”, non solo tra i due contendenti genovesi, evidentemente apparsi in conflitto, malgrado la stima reciproca sempre manifestata. Ma sembrava che, comunque, uno dei due genovesi l'avrebbe spuntata, proprio perchè la prospettiva di questa elezione diventata così importante, era cruciale legando la decisione degli imprenditori a una visione europea e di industria forte che sia Gozzi che Garrone rappresentavano con le loro aziende e con i loro incarichi.

Invece non è andata così, con un finale che non era prevedibile anche se non nelle sue convulse sequenze finali e che ha stupito anche molti dei sostenitori di Garrone, presi in contropiede dalla sua ultima decisione, evidentemente suggerita dalla conta dei voti della vigilia non certo a lui favorevole. Dopo averlo votato nelle assemblee territoriali non sono stati informati del fatto che il loro voto cadeva nel vuoto del ritiro. Il loro candidato piuttosto che perdere si stava ritirando.

Certamente tutta questa battaglia elettorale, che terminerà in modo anche sorprendente con un candidato unico, ha avuto spunti polemici anche sgradevoli, che segnano la Confindustria di oggi e che spiegano in parte la lunga lettera del ritiro, giustificato con il bene della categoria che non può ridursi a lotte e spartizioni intestine, ma deve offrire una immagine di unità e chiarezza.

Riepiloghiamo: il primo a pagare questo clima è stato Gozzi, che non ha certo nascosto i sui dubbi sulle modalità della sua esclusione. Il secondo è stato Garrone, che dovrebbe chiarire il suo percorso in questa vicenda nel quale ha fatto la figura della meteora. Perchè?
Molto probabilmente perchè alla vigilia del verdetto finale , come era prevedibile e annunciato, i voti ex Gozzi sono confluiti verso Orsini e non certo verso Garrone, con un conteggio che piazzava il presidente di Erg “sotto” Orsini in modo netto, 65 contro 70, secondo le indiscrezioni pubblicate anche da qualche bene informato.

A questo punto ecco che Gozzi si dimostrava determinante nel ritiro di Garrone, poi annunciato in maniera ufficiale. Era avvenuto il contrappasso dell'improvvisa candidatura Garrone. E allora ecco l'uscita di scena, tanto inattesa come l'entrata e la spiegazione perfetta anche per salvare la faccia. Absit iniuria verbis.

Poi c'è Genova, lo ripetiamo, che perde una bella occasione e anche l'associazione genovese degli imprenditori, spiazzata più volte, quasi sballottata da questo valzer di candidature, che era partito non certo come una danza, ma come una affermazione forte di rappresentanza e finisce in una specie di farsa con capriola finale.

Due candidati, risultato zero, dopo la spinta a Gozzi, la neutralità davanti al derby e poi di nuovo Garrone. Che alla fine “tradisce” all'insaputa dei confratelli genovesi che lo apprendono dalla lettera-bomba.

Non è questa la storia di Genova dei suoi imprenditori, dei suoi presidenti, che avevano in tempi oramai molto lontani, in un contesto molto diverso, ben altra forza, capacità di imporsi a livello nazionale, rispetto e influenza. Ora sono quelli che corrono in due e nessuno arriva.