Lo ha scritto Franco Manzitti molto bene ieri chi era Paolo Odone, che cosa ha fatto per Genova e non solo, quali sono state le sue straordinarie intuizioni quarant’anni fa e oltre quando parlare di Genova turistica sembrava a molti un sacrilegio.
A un anno dalla sua scomparsa, però, voglio ricordarlo anche io. Quest’anno il nostro docufilm “Salir”, realizzato all’interno della serie di “Terza” lo abbiamo dedicato proprio a lui, a Paolo Odone, che vent’anni fa, circa, ebbe l’intuizione di realizzare uno dei primi docufilm di Primocanale. E’ un ritratto, il mio, di Paolo “on the road”, come piaceva a lui, poco ufficiale, in febbraio con un freddo pungente e una giornata molto bella. Dodici ore di riprese accompagnati dalla cultura artistica di Elena Manara, con l’operatore, telecamera in spalla e Mariaclara Pescetto segretaria di produzione a percorrere le valli dietro Voltri. Quelle che proprio Paolo definì “le valli del mare” e che hanno dato il titolo al docufilm che è visibile nel nostro archivio-tesoro.
Dunque era il febbraio del 2005 quando risalimmo le valli delle cartiere, con Paolo a fare da suggeritore e co-conduttore e la sua inesauribile valigia di saperi & sapori.
Ecco così la signora Rosa che racconta la sua “fugassa” della Marinetta di Voltri e si commuove leggendo la poesia che le ha dedicato il grande Vito Elio Petrucci….”a scrosce allegra/sott’ai denti…”, poi nell’oratorio di Mele la lezione di Elena sulla cassa lignea con Sant’Antonio Abate che guarda l’anima di San Paolo primo eremita che sale in cielo e davanti al maestoso santuario dell’Acquasanta Paolo che ricorda che qui si celebrarono le nozze tra Ferdinando II di Borbone e Maria Cristina di Savoia nel 1832 e qui venne Benedetto XV ancora prima di diventare papa.
Più su arrivammo alla Cappelletta che era il luogo di villeggiatura di tanti genovesi antichi e anche degli Odone e Marta Saccomanno Montolivo a ripercorrere la tragica vicenda dei martiri del Turchino, 59 antifascisti chiusi a Marassi e presi e massacrati come vendetta dopo l’attentato che uccise sei soldati nazisti al cinema Odeon nel 1944.
“La Cappelletta - ricordava Paolo – è sulla strada del sale e di qui passava il ferro che sbarcava a Voltri proveniente dall’isola d’Elba per fare i chiodi di Masone” e si entusiasmava raccontando che, a un certo punto, ci trovavamo proprio in mezzo alla selva dell’Orba che era stata la tenuta di caccia di Liutprando.
Ma l’ intelligenza del nostro mentore era di non essere “pesante e pedante”, passando con “nonchalance” da Liutprando o dall’architettura che Elena Manara descriveva davanti a Santa Maria della Vezzulla, alla squisitezza della “revzora”, focaccia indispensabile per gustare le fette di “testa in cassetta”. Il Paolo buongustaio e “re del commercio intelligente” così esplodeva.
Già, perché dal Turchino (“Eccolo! Guarda lassù il Bric del Dente! E’ quello che ti faccio sempre vedere dalla Terrazza di Primocanale….”) eravamo scesi a Campoligure e qui ci portò dal suo amico Serafino che nella sua superba salumeria preparava una “soppressa” che si scioglieva in bocca, ma che , attenti a non commettere un sacrilegio, Paolo voleva che fosse mangiata esclusivamente sulla fetta proprio di “revzora”, la focaccia di farina bianca e farina di polenta, tagliata poco più in là in un altro negozio (“bottega! Mi raccomando”) di sua frequentazione.
La “revzora” di Paolo mi è tornata in mente pochi mesi fa quando, girando “Salir” ci siamo inchiodati davanti al “bugiandu” di Fabbriche. Se ci fosse stato lui sarebbe stato felice.
Il docufilm, ma allora lo chiamavamo ancora “documentario” scivolò passando nel curioso museo Passatempo, dove due giovani intraprendenti Guido e Silvia raccoglievano oggetti degli anni ’50 e ’60 e avevano ricostruito una sorta di set con un bar col jukebox pronto a suonare un trentatré giri dei Beatles.
Che straordinario mix di storia, arte, religione, Resistenza, natura e cucina, caro Paolo!
Chiudemmo il nostro viaggio-film alla Badia di Tiglieto, rifugio spirituale dei cistercensi adorati da Odone quanto la testa in cassetta…..
“Sai chi salvò il giovane arciere di Liutprando ferito gravemente da una freccia?” mi domandò a bruciapelo.
Dopo dodici ore di riprese camminando e guidando ero a pezzi. Non risposi non per stanchezza, ma perché a mala pena conoscevo il re dei Longobardi non certo il suo arciere. Sorrise. “San Baudolino patrono di Alessandria che lo guarì”.
Non sono mai riuscito a contestarlo perché in seguito avevo letto che, durante una caccia nella Silva Urba, era stato ferito Anfuso, nipote di Liutprando. Il re mandò a chiamare Baudolino, ma mentre lo aspettavano Anfuso morì e quando il messo giunse dall’eremita questi sostenne di sapere già tutto e ormai di non poterci fare più niente.
Paolo avevi ragione tu o loro? In ogni caso, grazie per quello che hai fatto per i genovesi e anche per avere scoperto testa in cassetta e revzora…..
IL COMMENTO
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