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di Michele Varì

GENOVA - La testimonianza che mi ha emozionato di più in due anni di processo per la tragedia del ponte Morandi è stata quella di una mamma di Arenzano che quel 14 agosto 2018 accompagnava il figlio ventenne e due suoi amici alla stazione di Principe per partire per le vacanze a Rimini. Avrebbero dovuto prendere il regionale e poi la coincidenza a Genova. Ma c'era sciopero e chiesero alla mamma di accompagnarli.

La donna, sui cinquant'anni, in aula con la voce rotta dalla commozione, disse che e quando si vide crollare il ponte davanti pensò a salvare quei ragazzi, gli urlò di scappare verso la galleria, di mettersi in salvo e non aspettarla, davanti ai giudici ammise in lacrime, "pensai che io la mia vita ormai l'avevo fatta, ma loro no, loro si dovevano salvare perchè avevano davanti tutta la vita".

Fu raggelante ascoltare quella donna, quella mamma.

Un sondaggio di Primocanale dice che solo l'1% dei genovesi crede che sarà fatta giustizia.

Da due anni Emmanuele Diaz, fratello di una delle vittime più giovani, ha interrotto la sua vita, i suo studi in Colombia per seguire il processo.

Un po' lo stesso ho fatto io, per seguire le tre udienze settimanali ho interrotto la solita vita da cronista in strada: il lunedì, il martedì e il mercoledì, sono lì, sotto la tensostruttura bianca costruita per il maxi processo avviato il 7 luglio 2022 per capire perchè il Morandi è crollato e punire i responsabili.

Alla sbarra ci sono 58 imputati, i vertici di Autostrade per l'Italia, di Spea, dirigenti del ministero e consulenti. Le persone che dovevano controllare il ponte.

La mia speranza è che si riesca a fare giustizia e che mai più una mamma percorrendo un ponte in una tranquilla giornata estiva si trovi a dover scegliere di sacrificare la sua vita per salvare quella dei suoi ragazzi.

Primocanale ha preparato un docufilm per raccontarvi con parole semplici e rendere comprensibile a tutti le fasi del processo e quando potrebbe esserci la sentenza