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di Luigi Leone

L’ultimo caso è quello dello scrittore Antonio Scurati, censurato dalla Rai perché avrebbe dovuto tenere un monologo sul 25 Aprile durante la trasmissione di Serena Bortone. L’avrebbero seguito in pochi, visti gli ascolti del programma tv. Invece è diventato un’icona, il suo discorso è finito su social, siti, giornali. Ovunque. Per avere tanta pubblicità chissà quanto avrebbe dovuto pagare. 

Invece persino la premier Giorgia Meloni ha dovuto pubblicare le parole di Scurati: “Io non censuro nessuno!”. Al contrario, alla Rai sì. E quando da Viale Mazzini hanno parlato di una cifra troppo alta per il monologo, la toppa è risultata peggio del buco. Il cittadino ha l’anello al naso e non sa quanto denaro viene sperperato dalla tivù pubblica? E dai…

Il problema sono gli inutili idioti, più realisti del re. Idioti deriva dal greco, significa “uomo inesperto, non competente”. Appunto, incapaci e/o incompetenti. Nei giorni scorsi, due distinte interviste hanno sollevato il medesimo problema: la selezione della classe dirigente in Italia.

“Non sanno ciò di cui parlano” ha chiosato Enrico Mentana, direttore con contratto in scadenza del TG La7, in un botta e risposta sulla Stampa. Claudio Scajola, ex ministro plurimo e sindaco di Imperia, intervistato da Primocanale se n’è parimenti uscito così: “Ho il dubbio che una volta la classe dirigente fosse migliore”.

Sia quelle di Mentana sia quelle di Scajola sono parole crude, che fotografano la situazione. Per spiegare che cosa provochi il rifiuto della politica e dei politici, fino a rendere quello dell’astensione il partito principale basta citare in ordine sparso: promesse non mantenute, incoerenza elevata a sistema, disponibilità ai peggiori compromessi, disinteresse per il bene della comunità, interessi partigiani, arricchimenti personali discutibili sul piano morale, menefreghismo delle inopportunità politiche, servilismo sciocco nei confronti del leader di turno. Tutto ciò non costituisce reato. Però ci sono pure le violazioni al codice, se pensiamo a voto di scambio, falsi in bilancio, corruzione.

Ora, di fronte a questo scenario non è che il cittadino senta proprio la spinta a esercitare il proprio diritto-dovere di andare ai seggi. In un ottimo pezzo, la collega Giorgia Fabiocchi dice che lei comunque vuole partecipare con il suo voto alle decisioni. La cosa le fa onore.

Io l’ho pensata allo stesso modo fino alle ultime elezioni. Alle prossime, invece, sto meditando se presentarmi a votare. Non andassi, so che perderò un diritto e che non rispetterò un dovere. Ma: un partito e chi lo impersona, ed entrambi dovrebbero rappresentare me, meritano il mio voto? Al Sud un suffragio vale 50 euro, ci dice un’inchiesta giudiziaria. Bene, il mio ne vale molti di più. Anzi, proprio non ha prezzo. Quindi, se nessuno lo merita, nessuno lo avrà. Del resto, quando Mentana (astensionista da sempre, dice lui) osserva che i politici, siano anche ministri o sottosegretari, “non sanno di che cosa parlano” afferma il vero. Nessuno studia.

Di Scajola e di un altro Claudio, Burlando, che da sempre sta sulla sponda opposta che oggi si chiama Pd, se ne sono dette di ogni. Si è persino sospettato che “i due Claudio” non occasionalmente siano stati in combutta, pur senza alcuna prova. Un filo, però, ha certamente legato e lega i due: se non conoscono l’argomento non parlano. Si informano, approfondiscono e poi dicono. Sono testimone diretto.

Quanti altri politici fanno la stessa cosa e non preferiscono, invece, partecipare a qualsivoglia talk televisivo o dibattito pubblico, inanellando autentiche figuracce? Se sulle parole in libertà dei politici, due comici come i genovesi Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu si sono inventati una rubrica chiamata “schiacciamento della merda” una ragione dovrà pure esserci.

Si studiava. In più c’era la gavetta. Partivi facendo l’attacchino dei manifesti, elettorali e non solo. Poi, pian piano, salivi di categoria. E se proprio eri bravo, ma bravo bravo, potevi arrivare a sottosegretario, ministro, premier. Serviva un percorso.

Anni Ottanta del secolo passato. Sono un giovane cronista. Arrivo in Comune a Imperia e dal sindaco in giù non c’è nessuno. Neppure della minoranza. Mi fiondo dal capo dei messi municipali: “Ma dove sono finiti tutti?”. E lui: “È stata varata una nuova legge sull’urbanistica, hanno concordato il giorno e sono a Roma, ognuno dal proprio partito per studiarla”. C’è da aggiungere altro?