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Monsignor Marco Tasca, Arcivescovo di Genova, nel giorno del patrono San Giovanni ha affrontato numerosi temi nella sua omelia: lavoro, povertà e anche l'inchiesta che ha travolto la nostra regione il 7 maggio.

"Le notizie che arrivano dal mondo, nella loro durezza e drammaticità, ci preoccupano e spesso infondono in noi un senso di grande insicurezza.

In questo cambiamento d’epoca, le tradizioni e le abitudini sembrano non essere più sufficienti per farci guardare con speranza al futuro. Spesso l’orizzonte ci appare ristretto, progettare risulta più difficile, le riserve di fiducia sembrano esaurite. È comune osservare come questi sentimenti investano le nuove generazioni, ma possiamo riconoscere che tutti ne siamo toccati. Non possiamo più agire come si è sempre fatto. Si sono imposti con forza nuovi modi di comunicare, di lavorare e di relazionarsi.

L’ultimo rapporto Censis (dicembre 2023) definisce gli italiani di oggi “sonnambuli, ciechi dinanzi ai presagi, [persone] che vivono reazioni amplificate, che troppo spesso tendono a ribaltare verità scientifiche…”

Quest’analisi è proprio vera? La sentiamo vera? A Genova siamo o ci sentiamo così? Rispetto a un contesto effettivamente segnato anche da prospettive che inquietano come stiamo reagendo? Come ci sentiamo interpellati di fronte a queste sollecitazioni? Quali sono gli ambiti che ci preoccupano di più? E dove possiamo trovare segnali di speranza? Come rendere “più umana” una società che fronteggia le sfide dell’intelligenza artificiale? Come rendere più solidale una società spesso indotta a ripiegamenti individualisti?

La Chiesa genovese da sempre è attenta alla questione del lavoro, che garantisce alla persona umana la sua dignità rendendola capace di autonomia e di effettiva libertà. Con il lavoro l’uomo custodisce e fa fruttare il giardino che Dio gli affida e sul lavoro si fonda la democrazia repubblicana che la nostra Costituzione tutela e disciplina.

Se è vero che i dati sull’occupazione nella città di Genova, riguardanti l’anno 2023, registrano un aumento di occupati rispetto all'anno precedente, è anche vero che tali dati meritano attenta analisi per verificare se all’incremento dell’occupazione corrisponda un miglioramento delle condizioni di salario e, in generale, di vita dei lavoratori.

Una prima domanda: tutti coloro che lavorano nella nostra città hanno un lavoro stabile che permetta di garantire serenità per loro e per le loro famiglie?
I dati più recenti rivelano che l’87,5 % dei nuovi occupati ha concluso contratti precari, mentre solo il 12,5% è stato assunto con contratti a tempo indeterminato.
La precarizzazione del lavoro genera la precarizzazione della vita, con conseguenza nefaste sulla possibilità, anzitutto per i giovani, di progettare il futuro. Ciò ha riflessi di ordine psicologico, sociale e demografico.
La precarietà del lavoro spesso si accompagna anche a insufficiente sicurezza con rischi per la salute e talvolta anche per la vita stessa dei lavoratori.

La seconda domanda è chiederci perché le rilevazioni statistiche nazionali (ISTAT) mettano in evidenza che, nonostante la crescita numerica degli occupati, la povertà non diminuisce, ma aumenta?
Questo paradosso viene drammaticamente confermato anche a Genova dai dati della Caritas diocesana. Su 4891 persone aiutate dai centri di ascolto, 1222 (cioè una su quattro) non è priva di occupazione, ma ha addirittura un contratto di lavoro a tempo indeterminato
Sono i cosiddetti “lavoratori poveri” (con un salario troppo basso, reso ancora più inidoneo a sostenere le minime necessità della vita, a causa del recente e prolungato periodo di aumento dell’inflazione e di diminuzione del potere d’acquisto dei salari).
Già questo rilievo è sufficiente per mostrare quale realtà nascondano dati apparentemente positivi.

Collegato con la situazione lavorativa è il problema dell’emergenza abitativa. Sono numerose le famiglie che, con le entrate ordinarie, non riescono a far fronte alle normali spese di mantenimento e gestione di un’abitazione (il canone di locazione, le spese per l’amministrazione e per le utenze)
Anche questo è confermato puntualmente dai nostri centri di ascolto: gran parte (oltre il 63%) delle erogazioni è destinato proprio alle spese per la casa.
L’inevitabile conseguenza è che ai centri d’ascolto diffusi sul territorio diocesano e alle nostre parrocchie, sempre più spesso, si rivolgano persone che chiedono di essere aiutate a non dover lasciare la propria abitazione. Spesso arrivano già con il decreto di sfratto notificato ed esecutivo.

La situazione è oggettivamente grave ed è necessario agire concretamente tutti insieme. La Chiesa genovese è vicina a ogni situazione di crisi, difficoltà, sconforto. Attraverso le parrocchie, luoghi di solidarietà e di comunità che arricchiscono di bontà e accoglienza il nostro territorio, e attraverso le associazioni e i movimenti ci stiamo occupando di questo fenomeno per realizzare progetti di prossimità concreti ed efficaci.
Tuttavia, è necessario che l’intervento delle istituzioni pubbliche sia incentivato per evitare che tante famiglie, spesso con bambini, rischino di frantumarsi e precipitino nella disperazione. Trascurare queste difficoltà significherebbe indebolire ulteriormente un tessuto sociale già molto fragile.

Spesso si ricorda che la nostra città e la nostra regione hanno un’elevata presenza di popolazione anziana. Frequentemente questo rilievo è visto come negativo per l’inevitabile incidenza che tale presenza ha sulla dimensione dell’welfare. Ma voglio oggi ringraziare gli anziani così numerosi nel nostro territorio, perché spesso esercitano con molta generosità un vero servizio sociale. Sappiamo infatti che molte famiglie sfrattate vengono accolte nelle case dei loro parenti anziani, che assicurano un tetto, ma che spesso non possono garantire abitazioni realmente dignitose, soprattutto quando riaccolgono figli e nipoti.
Sarebbe utile che le istituzioni competenti per questi rilevanti problemi sociali convocassero tavoli di confronto finalizzati a porre argini a un fenomeno che sta manifestando tutta la sua gravità.

È chiaro il cuore della questione. Non è importante soltanto che aumentino le persone titolari di contratti di lavoro, ma anche che i posti di lavoro siano “buoni”, che l’occupazione sia “di qualità”.
In particolare, a Genova sta crescendo molto il settore turistico, vocazione peculiare del nostro territorio, per la sua storia e per la sua bellezza naturalistica e artistica. Nondimeno, è decisivo che siano promossi, anche con opportuni investimenti pubblici, altri comparti produttivi, non solo quelli industriali tradizionalmente legati allo sviluppo economico della nostra città, ma anche – e soprattutto – settori dinamici, innovativi.
È molto positivo, al riguardo, il ruolo attivo di sinergie che stanno creando numerose nuove opportunità in campi particolarmente innovativi (intelligenza artificiale, robotica, biomedicale, ecc.) … Quando l’impresa, l’amministrazione, il mondo culturale e universitario collaborano tutti ne riceviamo sicuro giovamento.
Sogno una città che sia non solo una perla di architettura, paesaggio, stile di vita, non solo un importante centro amministrativo e industriale, ma anche un grande laboratorio per i servizi e per l’innovazione.

I genovesi sanno bene cosa significhi esplorare, creare, scoprire e innovare. I genovesi non hanno paura del nuovo, dell’ignoto, dell’orizzonte che si apre verso terre lontane. I genovesi sono navigatori, esploratori ed innovatori. La storia ci insegna come abbiano creato nuovi strumenti finanziari in quella fucina dei moderni mercati mobiliari che è stato il Banco di San Giorgio. E la storia ci trasmette anche le copiosissime esperienze di grande imprenditoria, connotata e animata dalla generosità e dalla solidarietà. Pensiamo ai nostri ospedali, alle opere sociali, all’Albergo dei Poveri, al Pammatone, ecc.…

Perché non sognare che anche in questa quarta rivoluzione industriale (la c.d. industria 4.0) qualche innovazione positiva possa nascere dagli uomini e dalle donne della nostra città?

Alcune indagini giudiziarie, a tutti note, hanno coinvolto parte del sistema produttivo regionale e genovese. Non compete a noi alcuna valutazione di merito, in costanza dell’attività della Magistratura secondo le procedure previste dal nostro ordinamento giuridico.
La preoccupazione della Chiesa genovese riguarda la possibilità che questa situazione rallenti o arresti l’avanzamento delle grandi opere di cui Genova ha urgente e improcrastinabile necessità.
Queste infrastrutture potrebbero modificare e potenziare la dimensione della nostra città. Da un centro urbano medio-grande diverremmo una città realmente internazionale con un porto che diventerebbe – anzi ritornerebbe – fra i più importanti di Europa.
La città, che negli ultimi 40 anni ha perso decine di migliaia di posti di lavoro e centinaia di migliaia di abitanti, potrebbe invertire la rotta e veder crescere l’occupazione, con lavori stabili e dignitosamente retribuiti. Tutta la comunità ne trarrebbe vantaggio: le imprese, i professionisti, l’università, ognuno di noi.

In questo momento così difficile siamo particolarmente vicini alle grandi aziende genovesi, alcune delle quali sperimentano da tempo situazioni di crisi, e siamo vicini a tutti i lavoratori che, a qualunque titolo, ogni giorno dedicano energie, intelligenza e fatica per rendere migliore, più ricca e più moderna, la città in cui viviamo.
Vorrei che tutti sentissero la vicinanza della Chiesa che non smette di pregare il Signore e contestualmente si impegna con operosa determinazione a realizzare tutto ciò che è possibile affinché il lavoro – il lavoro “buono” – non manchi mai e a nessuno.

È uno degli aspetti dove finora ci sentivamo, più sicuri, ma che oggi presenta profili di preoccupazione. Il diritto alla tutela della salute, previsto in Costituzione (art 32), è estremamente importante perché non è soltanto un diritto individuale, ma anche un diritto “sociale”. Il Servizio Sanitario Nazionale è motivo di orgoglio per il nostro Paese e va promosso, difeso e ringraziato.
Chi ha bisogno di essere curato, a qualunque classe sociale appartenga, ha diritto a ricevere le cure. Non dobbiamo essere reticenti: il nostro sistema di welfare è possibile solo attraverso la finanza pubblica e perciò è necessaria l’imposizione fiscale, proporzionale, progressiva ed equa, come ancora prevede la Costituzione (art. 53). A tale imposizione fiscale ogni cittadino è tenuto: con onestà, puntualità e diligenza.

La salute non dipende solo dalle strutture sanitarie disponibili, ma in maniera ancora più rilevante da fattori non sanitari.
Tali fattori sono rappresentati certamente dai comportamenti individuali, come lo stile di vita e le abitudini quotidiane, ecc., ma anche – e correlativamente – da fattori ambientali e sociali, quali l’istruzione, l’occupazione, le condizioni abitative e l’alimentazione, ecc.
Questo comporta che ci siano zone i cui abitanti vivono situazioni di salute peggiori rispetto a chi vive in altre, non perché non si trovino lì strutture sanitarie disponibili, ma semplicemente perché in quei quartieri le condizioni ambientali e sociali sono peggiori. Tali condizioni incidono sulla vita in generale e sulla salute in particolare.
Queste diseguaglianze risultano particolarmente inique, perché potrebbero essere eliminate, se l’intera comunità si attivasse per rimuoverne le cause. La prima responsabilità è dell’amministrazione, ma si tratta di un obiettivo che riguarda ognuno di noi.
Tutti siamo chiamati a contribuire per ridurre le diseguaglianze!

A Genova il 37% degli anziani vive da solo e si trova esposto al
forte rischio dell’isolamento sociale.
Le evidenze scientifiche mostrano chiaramente come, a parità di condizioni (età, situazione economica, livello di istruzione, presenza di patologie croniche e area geografica di residenza), l’isolamento sociale aumenti il rischio di disabilità, depressione (+200%), ricovero ospedaliero (+49%), perdita di autonomia nelle attività della vita quotidiana (+21%).
La solitudine, nel mondo dei social apparentemente iper-connesso, è considerata la più grave malattia del terzo millennio e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la disconnessione sociale un urgente problema di salute pubblica.
Non posso non ricordare come le comunità cristiane rappresentino spesso contesti nei quali la malattia dell’isolamento è guarita con la terapia della comunione e della condivisione. Davvero le nostre parrocchie, le associazioni e i movimenti rappresentano, nella loro capillare diffusione nel territorio, luoghi in cui sentirsi in case sicure, calde, fraterne, collaborative e solidali anche per chi nella propria casa si sente solo, non considerato, talvolta “inutile”. Ancora una volta ringrazio i presbiteri, i diaconi, le religiose, i religiosi e tutte le sorelle e i fratelli laici che ogni giorno, con generosità e dedizione, custodiscono e animano la vita delle nostre comunità. Il percorso del Sinodo vissuto in questi anni dalla nostra Diocesi, in comunione con la Chiesa italiana e universale, ha rivelato ancora di più quanto sia bella e ricca la vita del popolo di Dio che vive, soffre, gioisce e spera in Genova.

Dal 3 al 7 luglio la Chiesa Italiana sarà riunita a Trieste per il consueto appuntamento delle Settimane sociali che ha come titolo; "Al cuore della democrazia – partecipare tra storia e futuro".

Riteniamo che sia indispensabile che tutti i cittadini italiani e in particolare coloro che si definiscono cattolici, tornino a percepire la politica come uno spazio e un’attività dove mettere a disposizione, per il bene comune, i propri talenti. Non solo è necessario, ma è urgente! La democrazia si nutre di partecipazione e, quando la partecipazione si affievolisce, la stessa democrazia è a rischio. L’individualismo, più o meno travestito, si affaccia come seduzione e come illusoria risposta, facendo leva sulle paure e sulle difficoltà. Come cattolici dobbiamo ripetere e ripeterci ancora una volta che mai il ripiegamento sull’interesse particolare e mai la paura di costruire un futuro migliore potranno essere strade percorribili e feconde.
I Padri costituenti avevano chiari gli obiettivi di perseguire il bene comune, la solidarietà, la sussidiarietà, le libertà individuali, lo sviluppo della personalità di ognuno, la giustizia sociale, entro una cornice di equilibri istituzionali volti a permettere l’efficace esercizio della democrazia rappresentativa. Questa chiarezza di obiettivi rese possibile l’elaborazione di una carta costituzionale condivisa e ispiratrice di futuro. Riteniamo che questi debbano essere gli imprescindibili obiettivi di ogni revisione normativa che incida sui fondamentali principii che informano il nostro vivere civile.

Molti analisti elencano gli errori compiuti dalla politica negli ultimi, ma, a ben pensarci, l’errore più grande ci sembra sia stato quello di aver perso la capacità di sognare.

Vorremmo che tanti cittadini e cittadine si impegnassero attivamente per collaborare a creare un Paese migliore e soprattutto a sognare un Paese dove le future generazioni possano vivere più serene e più felici, dove i diritti costituzionali siano garantiti a tutti: in particolare il diritto al lavoro, il diritto alle cure, il diritto all’istruzione e il diritto alla casa.

Abbiamo bisogno di uomini e donne competenti, oneste e generose che facciano della politica un servizio ai cittadini soprattutto a quelli più poveri e più fragili.

La fotografia della città ci riporta l’immagine di una realtà
composita, dove tanti si impegnano: volontari, istituzioni, parrocchie, associazioni, organizzazioni del terzo settore, mondo del lavoro…
La solidarietà non si è mai esaurita, anzi è cresciuta; il desiderio di incontrarsi e camminare insieme è ancora vivo; la fiducia reciproca non si è spenta e in tanti luoghi della nostra città si uniscono le forze per progettare insieme.
Nondimeno ci sono ancora molte – troppe – diseguaglianze da abbattere. Queste diseguaglianze non sono né casuali né ineluttabili e non si risolvono soltanto investendo maggiori risorse economiche – pur necessarie – per fronteggiare le emergenze. Si possono e si devono individuare strumenti e modi per eliminarle in modo stabile e strutturale.

Ma il problema di fondo è culturale e – ben possiamo dire – spirituale: è necessario dare risposta a una domanda fondamentale: quale società abbiamo in mente e sogniamo?

Le diseguaglianze sono ingiustizie e perciò la domanda è quale idea di giustizia abbiamo. È chiaro che questo tocca la nostra idea della ricchezza e della sua distribuzione e la nostra idea di accesso alle risorse e alla loro condivisione. Soltanto condividendo valori e progetti si possono affrontare insieme le diseguaglianze e iniziare a sconfiggerle.
Apprezziamo gli sforzi, che molti stanno compiendo, per rendere più diffuse e accessibili le differenti forme di accoglienza e di cura indispensabili perché ognuno si senta parte di una comunità solidale.

La qualità e l’efficacia dell’attenzione e della cura verso i più deboli indica la misura di civiltà di una comunità. Una comunità è civile, equa, giusta solo se nessuno deve rimanere indietro, se nessuno vede restringersi le proprie possibilità di realizzazione, se nessuno vede il futuro dinanzi a sé segnato dall’insicurezza e dalla paura. È civile una società in cui ognuno si sente importante e in cui a ognuno importa degli altri, perché tutti siamo portatori di capacità, competenze e di un desiderio di vita indispensabile alla casa comune che vogliamo edificare.

Mantenere costantemente l’attenzione sui più deboli è il punto di partenza per lavorare insieme come Chiesa, organizzazioni pubbliche e private, per essere congiuntamente rivolti alla costruzione di un modello di sviluppo nuovo e solidale.

Rinnoviamo il nostro impegno per porci insieme a servizio di questa speranza. Possiamo ancora annunciare insieme al mondo che ogni gesto di solidarietà e collaborazione rappresenta la più efficace contestazione di visioni individualiste e pessimiste del futuro. Possiamo ancora prendere, con fiducia, il largo verso orizzonti talvolta incerti, ma carichi di speranza. Possiamo ancora sognare insieme e sappiamo che il Signore ha a cuore questi sogni e li benedice.

Genova ha storia, caratteristiche e forza per diventare un modello di una nuova società che include, che mette la persona al centro, che restituisce giustizia e dignità a ognuno, e che favorisce l’espressione creativa e libera della personalità di ogni donna e uomo in qualsiasi stato e in ogni situazione. Una città in cui si possa sognare insieme e realizzare insieme questi sogni.

Non stanchiamoci mai di sognare e realizzare questa speranza!".

Monsignor Marca Tasca, Arcivescovo di Genova

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