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di Claudio Mangini

Quando sabato 18 maggio, il giorno dopo la deludente uscita di scena dai playoff contro il Palermo, Matteo Manfredi prese le parola, ringraziando i tifosi, disse che voleva rassicurarli sul fatto che «continueremo a lavorare instancabilmente per proteggere la storia del club e costruire una squadra competitiva per il prossimo anno». Mentre la gran parte dei media interpretò le parole del presidente sampdoriano come un impegno palese per l’assalto alla serie A nella stagione entrante, a noi parve che il discorso fosse soprattutto (peraltro, non è poco) un impegno di buona volontà. Le parole successive hanno confermato che quella era l’interpretazione giusta. All’inizio della scorsa settimana, a Roma, in occasione della presentazione del back jersey sponsor, il presidente ha chiarito: «Serie A in un anno o tre? Ho provato a portare la sfera di cristallo ma non mi stava in valigia». E ancora: «Se volete sentirvi dire che andiamo in serie A tra quattro mesi, non riesco a dirvelo».

Concetto rimarcato pochi giorni dopo dal neo responsabile dell’area tecnica Pietro Accardi con queste parole: «La prima volta che ho incontrato il presidente, ho apprezzato la sua sincerità. Mi ha detto che vuole riportare la Samp in alto ma in questo momento dobbiamo armarci di elmetto e combattere. Non posso promettere: a breve saremo lì. Prometto impegno nelle difficoltà, questo trasmetteremo a tutti».

Parole deludenti o oneste e sincere? Probabilmente entrambe le cose. Che i tifosi blucerchiati si aspettassero meno prudenza è scontato, che vogliano la A è ovvio, lo richiede appunto la storia del club a cui la nuova proprietà fa spesso riferimento. L’obiettivo è stato ribadito, ma manca il “quando”, che è quello che più preme alla tifoseria. Se qualcuno avesse dei dubbi può riascoltare gli slogan scanditi durante l’affettuoso e caldissimo abbraccio dedicato alla squadra sabato 13, alla vigilia della partenza per il ritiro di Jena, in cui quelle sei lettere – serie A – sono continuate a rimbalzare.

Insomma, promettere la serie A per la prossima estate sarebbe quello che qualunque sampdoriano vorrebbe sentirsi dire oggi, ma – con gli sbarramenti imposti dall’indice di liquidità ancora per questa sessione di mercato - sarebbe soprattutto uno slogan populista. La sintesi delle parole di Manfredi e Accardi, invece, si potrebbe tradurre così: «Non vi facciamo promesse ma ci proviamo con tutti noi stessi».

Il rovescio della medaglia – positivo – di questa situazione, al di là delle parole, sono i fatti. Accardi è partito senza tentennamenti e con idee chiarissime, molto più precise di quelle dell’estate scorsa. Tutti sanno che il presunto tesoretto di casa Sampdoria si chiama Emil Audero, ma l’anno di panchina all’Inter non lo ha certo rivalutato. Tutti sanno che la Sampdoria ha necessità di liquidità e tutti si siedono sul fiume e aspettano che il club blucerchiato, alle strette, abbassi le sue richieste. Ma Accardi, anziché temporeggiare, ha cominciato a lavorare sodo sulle uscite: ne ha ottenuto tre importanti, Conti, Askildsen e Verre, e ha portato a casa il cartellino, con biennale, di Massimo Coda, l’usato sicuro un anno fa inseguito, annunciato e perduto. Accardi sa quello che vuole e quello che serve a una squadra che, in B, voglia puntare in alto. «Chi mi conosce sa che amo lavorare con i giovani e farli crescere, ma so anche che per costruire una squadra competitiva servono punti fermi», ha spiegato il ds. Un anno fa si costruì una squadra molto poco congrua di giovanissimi che inseguivano (e alcuni ci sono riusciti) l’affermazione e anziani che cercavano il rilancio (e non tutti ce l’hanno fatta). Oggi Accardi punta su giocatori dell’età perfetta per miscelare risorse atletiche ed esperienza, diciamo elementi fra i 27 e i 30, con qualche grande vecchio di affidabilità come Coda e Romagnoli.

Quindi, Accardi è partito bene – e gli applausi di cui è stato oggetto sabato a Bogliasco dimostrano che la tifoseria ha compreso e condiviso la sua filosofia – e, se riuscisse a mettere insieme la coppia Coda-Tutino, allora davvero si potrebbe essere molto meno timidi nelle dichiarazioni.  Intanto si aspetta di capire se del suo staff farà parte Andrea Mancini, cognome amatissimo e ottimo lavoro nello scorso mercato invernale.

Tirando le somme: più fatti concreti e strategia precisa che promesse e parole. Il che può essere poco consolatorio ma non va affatto male. La sintesi sta in una parola: concretezza. Il resto va valutato. Il ritiro in Turingia non piace a molti, ma Boskov cominciò mandando la sua giovane banda di talenti a prendere schiaffi in Belgio e Olanda, per poi stabilire il suo quartier generale estivo a Zeist, la Coverciano orange in messo alle foreste non lontano da Amsterdam. Si è trovato (senza più giochini e colpi di teatro, si auspica) l’accordo definitivo con il precedente proprietario. Ora è legittimo attendersi un rafforzamento della compagine azionaria e il palesarsi di quegli investitori che, Manfredi ribadiva, facevano la fila per mettere il piede dentro la Sampdoria.

Nel calcio – ribadiamo – con contano le promesse ma i fatti. I tifosi hanno ringraziato un milione di volte Radrizzani&Manfredi per il salvataggio, stanno ribadendo la loro fiducia con uno scoppiettante avvio di campagna abbonamenti (a proposito, brava la società ad andare incontro ai tifosi appunto con i fatti, cioè i prezzi e le offerte). Un atto di fiducia verso Manfredi da una parte, il buon lavoro di Accardi dall’altro. Ma lo sappiamo tutti che questi tifosi e la mezza città blucerchiata meritano la A.