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di Franco Manzitti

Dagli inglesi c’è sempre qualcosa da imparare, anche se con la Brexit si sono rovinati e ora cercano di recuperare. Assillato come sono, io antico cronista osservatore e nonno militante, dal futuro delle nuove generazioni, mi ha colpito un grande progetto made in London, organizzato per recuperare la socialità tra i ragazzi, oramai deviati dall’uso dei telefonini, dalla necessità di essere connessi, da un mondo di relazioni tra di loro capovolto rispetto alle più elementari esigenze di rapporti umani. Con la conseguenza di deviazioni pericolosissime, come il bullismo e mille altre distorsioni nella fase in cui ci si affaccia alla società extrafamigliare.

In una scuola nel cuore della capitale inglese si sono inventati un metodo da cura d’urto. L’orario è di dieci ore, dicasi dieci, di frequenza, cinque giorni alla settimana, con appuntamento alle 7,30 di mattina per incominciare con una prima colazione collettiva, cui seguono le lezioni fino alle 17,30.

È ovvio che un simile orario così lungo prevede spazi di socialità ben organizzati e tempo dedicato all’aria aperta e allo sport. Ovviamente, e qui sta il punto chiave, i telefonini vengono depositati all’ingresso e tornano nelle mani dei ragazzi solo all’uscita.

Lo scopo di questa terapia d’urto è proprio quello di spingere gli studenti, sia mentre studiano, sia mentre fanno merenda, sia mentre svolgono altre attività, a non essere condizionati dalla connessione telefonica e dai relativi rapporti virtuali che creano dipendenze così forti. I risultati di questo esperimento, che è partito all’inizio dello scorso anno scolastico, sono considerati molto positivamente.

Gli studenti sembrano entusiasti di avere “imparato” un altro modo di rapportarsi tra di loro, senza il condizionamento e l’ossessione del telefonino, che suona sempre in mano.

Hanno imparato a conoscersi in un altro modo, a selezionare i rapporti tra di loro secondo criteri che non sono quelli suscitati on line in modo martellante.

Hanno apprezzato quel tempo diverso da usare tra di loro. Ignoro cosa succede quando finiscono quelle dieci ore di franchigia e quando gli smartphone tornano in mano ai ragazzi “purificati” in tutti i sensi.

E mi rendo anche conto del fatto che una scuola così può sembrare una specie di isola impossibile da realizzare, non fosse altro per i costi che implica nella sua organizzazione, nell’impegno totale dei prof, nella totale differenza di quanto avviene in un sistema scolastico tradizionale.

Ma quello che colpisce, il messaggio da estrarre e valorizzare in questo esperimento estremo è la liberazione anche solo temporanea dal telefonino, dal suo condizionamento, dal suo uso massivo e credo devastante. Anche se inesorabile e irrinunciabile.

La dittatura del telefonino è oramai talmente invasiva che si è trasformata in una emergenza sociale che sfugge ai più e che condiziona non solo la formazione e la crescita delle nuove generazioni, ma ogni tipo di rapporto.
Un uso così massivo e generalizzato rappresenta probabilmente il cambio più importante e incalcolabile nel costume dell’uomo. Basta considerare che il telefonino è diventato il bene irrinunciabile a qualsiasi età oramai e in qualsiasi condizione. Chi vi chiede una moneta per mangiare tendendo la mano per strada non avrà casa, cibo e niente altro, ma ha sicuramente il telefonino e il mezzo per farlo funzionare.

Il grande problema dei genitori è a quale età e con quale eventuale limitazione fornire del telefonino i figli. L’età della concessione sta oramai scendendo vertiginosamente. Le generazioni digitali non hanno alcun problema a immedesimarsi subito con il sistema di uso, così come la loro digitalizzazione istintiva si applica a ogni nuovo strumento.

È rarissimo incontrare per strada chi non impugni o usi il telefonino. Per cui si può dire che cambia perfino il panorama urbano. Chi è solo o parla o consulta o si muove appoggiandolo all’orecchio o davanti alla bocca. Chi è in compagnia viene regolarmente interrotto o da un trillo o da un messaggio irrinunciabile.

Se salite su un mezzo pubblico, anche stipato, l’80 per cento dei viaggiatori stanno “lavorando” con il telefonino. In qualsiasi sala d’attesa il tempo viene usato guardando il piccolo schermo. E non parliamo dei viaggi in treno e dall’odiosa situazione di dover subire le conversazioni altrui, martellanti e spesso anche a voce alta, che diventano la colonna sonora insopportabile dei viaggi. Nei ristoranti, anche quelli più “romantici”, le coppie invece di parlarsi o guardarsi teneramente negli occhi sono impegnate, ognuno per conto suo, a guardare lo schermo e li interromperà solo il cameriere per prendere l’ordinazione.

C’è scampo a tutto questo, si può sperare in una invasione più controllata? In una limitazione che sia ispirata da un criterio logico?

Non ci sono risposte perché probabilmente l’evoluzione del telefonino attraverserà altre tappe ancora imprevedibili in un percorso di una velocità impressionante.

Serviva solo per parlare, poi sono arrivati gli sms, ora fa tutto: è il computer portatile, la scrivania di lavoro, il centro di collegamento con le chat tra gruppi, si sostituisce totalmente a ogni tipo di rapporto sociale diretto e umano, personale e collettivo: ha creato un mondo parallelo che spesso è l’unico nel quale si naviga. Quando ne esci sei come uno zombie: scusa ero in una call o in streaming o stavo su skype….

Per questo mi ha colpito la notizia della scuola inglese che impegna i ragazzi a non usarlo per dieci ore, organizzando il tempo in modo da escluderlo.

In parte succede anche qua e non è un caso che il ministro dell’Istruzione Valditara stia studiano il problema. Sappiamo già che ogni decisione sarà avversata e pesantemente discussa: il diritto al telefonino sta diventando come una tavola delle legge discesa dal monte Sinai.

Ma capire che soprattutto nella formazione infantile e adolescenziale quell’uso va disciplinato, regolato, studiato è fondamentale, se non vogliamo rinunciare a un momento decisivo per il futuro delle generazioni nuove, che senza saperlo vengono espropriate di un diritto alla conoscenza umana che passa dai rapporti diretti, fisici, tangibili, sonori, tattili tra l’uno e l’altro, tra l’una e l’altra, singolarmente e collettivamente, come è avvenuto nella storia dell’umanità dall’età della pietra, dall’uomo nelle caverne che comunicava magari con un urlo gutturale. Mentre oggi il problema del rapporto con gli altri incomincia con quale suoneria installare sul mio ultimo modello di smartphone…… una nota di Beethoven, una carica western, uno squillo di tromba o l’ultimo successo di Sanremo?