Ma alla fine Giovanni Toti è colpevole o è innocente? L’ex governatore della Liguria si è dimesso in seguito a un’inchiesta giudiziaria che lo vedeva accusato di molti reati. Per la precisione: corruzione, voto di scambio, finanziamento illecito, traffico di influenze, corruzione elettorale, falso. Di tutto ciò, dopo l’annuncio a sorpresa di un patteggiamento con i pubblici ministeri, non rimane nulla.
Dunque Toti non è un corrotto. Gli stessi magistrati confermano che non ha preso soldi per arricchimento personale né per fare cose illecite. I Pm, insomma, ammettono che il castello accusatorio non regge, sebbene abbiano a lungo tenuto Toti ai domiciliari, provocandone pure le dimissioni.
Ma Toti è anche un corrotto. Perché resta comunque vivo un reato “di ambiente”, da cui per l’ex governatore discendono il finanziamento illecito, la pena di due anni e un mese commutata in 1.500 ore di lavori socialmente utili e la restituzione di 84.000 euro di contributi.
Com’è possibile che un patteggiamento si presti a conclusioni e interpretazioni diametralmente opposte? In Italia è possibile. Difatti Toti a più riprese ha osservato di non avercela particolarmente con i Pm, che applicano (a volte politicamente orientati) le leggi, bensì con la politica, che le leggi le fa. Era l’annuncio di una battaglia per la revisione di quel pasticcio brutto chiamato finanziamento dei partiti.
Solo che la politica non ha alcuna intenzione di combattere questa battaglia. Il centrodestra ha di fatto isolato l’ex governatore ligure, che quando si è voltato non ha trovato nessuno degli alleati alle spalle, pronto a sostenerne le ragioni. E il centrosinistra, da parte sua, ha preferito cavalcare l’onda, scendendo addirittura in piazza per dire che “Toti tiene in ostaggio la Liguria”.
Per Piero Sansonetti, non propriamente un reazionario pure un po’ nostalgico, era esattamente il contrario. E adesso il direttore dell’Unità scrive: “Il messaggio che viene recepito dalla maggioranza dei cittadini è inevitabilmente questo: Toti ha confessato. I Pm avevano ragione. I Pm non avevano ragione. Avevano torto marcio. Perché contro Toti non c’era niente. Reati inesistenti. Accuse robuste come il semolino. I magistrati avevano deciso che toccava a loro giudicare le scelte della Regione e stabilire se fossero giuste o sbagliate. Cioè avevano invaso il campo. Andavano respinti. Era necessario, per ristabilire lo Stato di Diritto”.
Naturalmente quelli dello stesso centrosinistra, più inclini al giustizialismo, hanno dato una lettura colpevolista: “Ma non si è sempre dichiarato innocente, pronto a difendersi nel processo?”. L’ex governatore ha spiegato: “La corruzione impropria è un reato evanescente, difficile da dimostrare, però anche difficile da smontare”. Certo, è un peccato che Toti abbia preferito il patteggiamento. Ma poiché i tempi del processo sono lunghi, non è biasimabile nella sua decisione: la chiude qui, pensando a se stesso e al suo futuro.
Storie purtroppo ordinarie, nel nostro Paese. Difatti, nelle stesse ore si riapriva il caso dell’ex Ilva. Dopo 12 anni - sì, 12 anni! - un tribunale della Repubblica (la Corte d’Appello di Taranto) dice che un altro tribunale (la Corte d’Assise), della medesima Repubblica e della stessa città, era condizionato. Pertanto il processo dal quale erano scaturite parecchie condanne è da rifare. Da rifare e pure in un altro posto, Potenza, che risenta meno delle pressioni ambientali. Le quali allora esistono pure per i magistrati, visto che sono essi stessi a dirlo.
Per Genova, direttamente interessata, è l’annuncio che dovrà aspettare ancora per sapere come finirà davvero la sua storia con l’acciaieria. Rimane, però, il fatto che le due vicende sono facce di una stessa medaglia: la crisi della giustizia. Investe la politica, la magistratura, i mass media, l’impresa, i singoli cittadini. Fino a che non succederà nulla saremo tutti sconfitti.
IL COMMENTO
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