La gestione condivisa delle acque è un’attività sempre più sensibile ai cambiamenti climatici. E valgono tre elementi fondamentali: (1) conoscere per decidere, (2) focalizzare gli interventi, (3) garantire l’equità.
Gli italiani sono fortunati, perché ricevono dal cielo – ogni anno, anno più anno meno – circa 280 miliardi di metri cubi di acqua dolce sotto forma di precipitazioni, liquide e nevose. Ma dimenticano spesso che “each raindrop is a kiss from Heaven”, ogni goccia di pioggia è un bacio dal cielo, come scriveva Friedensreich Hundertwasser su un epico manifesto ambientalista del 1984. Non si risolvono i problemi locali se, per le istituzioni, ogni comprensorio è a rischio siccità. In Liguria piove assai più che nel resto d’Italia, dove piove molto più che nel resto d’Europa. Siamo tra i quattro paesi UE dove piove di più, il 7 percento più che in Gran Bretagna dove piove sempre, più di Francia e Germania. Il falso alibi del cambiamento climatico non deve diventare lo schermo dell’ignavia, perché bisogna pianificare azioni di adattamento climatico adeguate, intelligenti, concrete. Che cosa possiamo fare?
• Valutare il deficit di capacità d’invaso, legato alla mancata programmazione delle opere di accumulo negli ultimi 50 anni, allo stato di abbandono dei piccoli serbatoi collinari e, soprattutto, alla mancata manutenzione dei laghi artificiali, utile a evitarne il naturale interrimento, contenere l’erosione valliva e litoranea, proteggere gli ecosistemi. E rivalutare lo sfruttamento del serbatoio naturale principale della Liguria Tirrenica, i grandi materassi alluvionali, anche in relazione al possibile miglioramento dello stoccaggio senza correre il pericolo della salinizzazione.
• Migliorare le tecniche irrigue dove sono arretrate e inefficienti: l’acqua è consumata in larghissima parte dall’agricoltura, anche in Liguria, e il forte consumo industriale del passato (leggi, p.es. Italsider di Genova) è del tutto scomparso.
• Una rivalutazione delle specie coltivate, oggi condotta con il solo occhio del mercato e della resa immediata, senza alcun riguardo alla loro impronta idrica.
• Agire con forza e convinzione sull’inquinamento delle acque sotterranee, soprattutto di origine agricola ma anche civile: in Italia, il 48 percento delle acque prelevate a scopi civili viene emunta dai pozzi scavati in falda; e il 36 dalle sorgenti. • In merito alla valutazione delle sorgenti, il progetto sorgenti del CAI, Club Alpino Italiano, attualmente in corso, andrebbe istituzionalizzato.
• Superare il ritardo nel riciclo e nel riuso dell’acqua di depurazione. Nonostante che in Italia defluiscano dai depuratori più o meno 9 miliardi di metri cubi acqua ogni anno, si usa l’acqua potabile per lavare i piazzali e gli automezzi, irrigare i parchi, raffreddare gli impianti produttivi, tutte attività idonee al riuso delle acque di riciclate.
• In campo civile e idropotabile, va combattuto il degrado delle reti di distribuzione, soprattutto cittadine, trasformando le ATO da amabili conventicole di politici a riposo in organi capaci di prendere decisioni con contezza tecnica e farle valere nei confronti dei concessionari. L’Italia ha il record europeo dei prelievi, 156 metri cubi all’anno pro-capite contro 62 in Germania e 84 in Francia. Il degrado è legato alla obsolescenza e condizionato dal conflitto tra sostituzione dei tubi e circolazione stradale, ma esistono oggi efficienti tecniche di relining delle antiche tubazioni, efficace per non solo per il risanamento delle tubazioni di acqua potabile, ma anche delle condotte fognarie e dei tubi di scarico.
Renzo Rosso*
Professore Ordinario di Idrologia e Costruzioni Idrauliche al Politecnico di Milano
IL COMMENTO
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