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di Luigi Leone

Una città la cui classe dirigente, a parte lodevoli eccezioni, sembra perennemente con lo sguardo rivolto all’indietro. Di conseguenza, una città votata a vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto, che ha fatto del proprio understatement un luogo comune sul suo modo di essere. Minimizzare, attenuare, sminuire: a prevalere è questo stato d’animo. Invece…

Nei giorni scorsi ho letto l’editoriale di Michele Brambilla, il direttore del Secolo XIX, il quale quattro mesi dopo il suo arrivo ci informa di due cose. La prima: Genova è una città bellissima. La seconda: senza negare che esistono dei problemi, ci sarebbe bisogno di una narrazione diversa, più aderente alla realtà. E quindi a vedere, almeno dove c’è, e c’è, il bicchiere mezzo pieno. Benvenuto nel club. Poi ho letto l’articolo di Franco Manzitti, su questo stesso sito, il quale si ritiene giustamente orgoglioso di essere un concittadino di Cristoforo Colombo e si domanda: Genova non potrebbe fare di più, molto di più, per ricordare la Scoperta dell’America e soprattutto lo Scopritore?

Più consapevolezza dei propri pregi 

Io a Genova ci ho vissuto e ci ho lavorato per circa venti anni. Prima al Decimonono, poi a Primocanale. Ho sempre detto, immodestamente, di considerarmi un ottimo giornalista, dunque di non essermi sorpreso per essere stato scelto a fare il vicedirettore e il direttore. Però mi sono sempre domandato: possibile che Genova non avesse un genovese per quei ruoli?

Certo che non mi frega niente di dove uno è nato, tuttavia era un modo provocatorio per porre il problema: la sesta città d’Italia su moltissime cose, tutte mi verrebbe da dire, sembra non mostrare alcuna consapevolezza delle proprie qualità. Se chi viene da fuori dice la stessa cosa e se chi ha quotidiani rapporti con l’esterno le ripete, forse qualche ragione ce l’ha. O si ritiene che siamo tutti scemi e facciamo solo della captatio benevolentiae a buon mercato?

Come osserva Brambilla, non si tratta di negare l’esistenza dei problemi, che ci sono e possono essere gravi. Però non ci si può comportare, e i genovesi invece lo fanno, come se quei problemi appartenessero solo a questa città. C’è un isolamento geografico perché le infrastrutture sono carenti? Vero. Ma Genova non è l’unica a soffrirne. La sanità non funziona? D’accordo, però non si può negare che il San Martino e il Gaslini siano delle eccellenze. C’è l’assenza di una vera politica industriale, per cui il tessuto imprenditoriale ha subito negli ultimi anni dei duri colpi? Innegabile. Tuttavia restano Fincantieri, Leonardo, Piaggio Aero, Ilva, Ansaldo e altre aziende potrei citare: quante città italiane possono dire la medesima cosa? E quanti luoghi possono contare su un porto come quello di Genova? Magari sarà un problema la sua convivenza con il resto della città, però quanto sarebbe gradito altrove avere lo stesso problema…

Persino la politica offre degli atout

Ho citato a volo d’uccello, come suole dirsi. E mi sovviene la scuola genovese degli inarrivabili cantautori. Sebbene la Sanremo del Festival sia vicina, non sono solo canzonette. Persino in politica puoi vedere il bicchiere mezzo pieno. Non entro nel merito delle vicende, non questa volta almeno. Tuttavia, per rimanere all’oggi, non è che a tutte le città capiti di poter immaginare due ex ministri (Pinotti e Orlando) come possibili candidati sindaco, o che un viceministro in carica (Rixi) venga indicato come potenziale nuovo governatore ligure.

Per contro, molti giovani se ne vanno. E’ un problema, certo. Ma finiamola di pensare che il fenomeno riguardi esclusivamente queste latitudini. La verità è più semplice: Genova soffre di tanti problemi, come il resto d’Italia. Però è migliore di moltissime altre città, più grandi e più piccole. E ha la taglia, non soltanto fisica, per misurarsi con l’Europa e con il mondo. Bisogna cominciare a dirlo.