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di Luigi Leone

Tecnicamente si chiama Small modular reactors (Smr). Ma per tutti è il mini-nucleare. Prima c’è stata l’apertura del sindaco di Imperia, Claudio Scajola, il quale come ex ministro delle Attività produttive sa di che cosa si parla. Poi è toccato al titolare del dicastero del Made in Italy, Adolfo Urso. Che si è persino spinto oltre, durante il suo incontro a Genova per Piaggio aerospace ed ex Ilva: “Creeremo una nuova società con Leonardo e Ansaldo Nucleare e la Liguria sarà il baricentro del progetto”.

Ecco, il progetto. Con l’atomo l’Italia ha chiuso in seguito a due scellerati referendum, uno del 1987 e uno del 2011. Scellerati perché certe materie non puoi metterle in mano agli elettori. Difatti abbiamo ottenuto due risultati. Uno: l’esplosione delle bollette ogni volta che una crisi investe il petrolio o il gas. Due: il nostro Paese paga l’energia almeno il 30 per cento in più. Inoltre, ma su questo i referendum non c’entrano, dipendiamo in modo pressoché totale dall’estero. 

Tante parole mentre la Cina gongola

Il quadro richiederebbe delle certezze. Invece tutti i governi, nessuno escluso, giocano a catturare il facile consenso e ad evitare come la peste gli argomenti più spinosi. Ad esempio: va benissimo lasciarsi alle spalle il carbone, il quale inquina maledettamente, però le energie alternative finora non hanno fatto il miracolo. Ci costano, perché le famiglie in ogni bolletta trovano le spese connesse, anche se non ne usufruiscono direttamente, e nel caso dei pannelli solari ci hanno reso totalmente dipendenti dalla Cina. Non che con il fossile si sia più autonomi, anzi. Ma almeno non abbiamo a che fare con la Cina. Però nessuno lo dice. Oppure lo dicono in pochi.

Non basta. La Francia, che in Europa è la capofila del nucleare, ha un impianto a circa duecento chilometri dall’Imperiese e la cosa racconta bene la situazione: loro, i francesi, si prendono la polpa, cioè l’energia pulita e a buon mercato, noi invece ci becchiamo l’osso, in caso di incidente. Non è che il “fall out” si fermerebbe solo perché dovrebbe varcare il confine: la provincia di Imperia sarebbe direttamente coinvolta, ma buona parte del Paese verrebbe investito dalle radiazioni.

Chi contesta il nucleare una qualche ragione può averla se un colosso come la Germania nel 2023 ha deciso di spegnere tutto. Ma per il resto, “rebus sic stantibus”, facciamo un po’ la figura degli scemi, in Europa. La quale, al contrario, sul punto fa professione di pragmatismo e quindi ha varato un piano che rende l’atomo una fonte energetica praticabile. Noi teoricamente verremmo dopo la Francia nelle iscrizioni alla rete degli Smr, però fino ad oggi abbiamo fatto solo tante parole.

Il caso del rigassificatore di Vado

Servono i fatti, invece. Va bene che Eni ed Enel abbiano aderito all’iniziativa Ue e che ci siano pure Ansaldo Nucleare, Fincantieri, Rina e Agenzia industrie difesa, tanto per fare alcune citazioni. Tuttavia le dichiarazioni non bastano più. La mossa propedeutica, peraltro la più difficile politicamente parlando, è in qualche modo rimuovere il “no” degli italiani al nucleare.

Eppero’ guardando alla vicenda del rigassificatore di Vado non c’è da essere ottimisti. Se la contrarietà delle opposizioni regionali, che facevano il loro mestiere (ma c’era pure il centrodestra locale, giusto per non farsi scavalcare), è diventata una contrarietà unanime, bisogna trarre delle conseguenze.

Il neo governatore Marco Bucci è parso entusiasta quando il ministro Urso ha detto che un impianto del mini-nucleare dovrebbe sorgere in Liguria. Ma è stato general generico. Mentre sul rigassificatore di Vado fece subito una giravolta rispetto al suo predecessore Giovanni Toti, facendo valere la sindrome nimby: not in my back yard, non nel mio giardino. Ecco perché, in Liguria come nel resto d’Italia, c’è la fondata possibilità che il nucleare resti soltanto un argomento di dibattito. A meno che la politica non riesca a darsi il coraggio necessario. E che finora non ha dimostrato.

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