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Negli anni Ottanta era un quartiere da evitare, con vari problemi legati alla micro-criminalità, nell’immaginario collettivo cittadino era considerato con connotazioni negative, al pari di altri grandi insediamenti di edilizia residenziale pubblica. Oggi al Biscione (vero nome Quartiere INA-Casa Forte Quezzi) il clima sociale è cambiato ed è dichiarato buono dagli stessi abitanti (gran parte degli appartamenti sono oggi di proprietà di famiglie) e si assiste ad una riscoperta della zona da parte di figli e nipoti dei residenti originari che “per scelta di vita” si insediano nel quartiere sviluppando un elevato senso di appartenenza e di comunità. L’incidenza di giovani famiglie è più elevata rispetto ad altre aree della città. Negli ultimi anni il Biscione si è rifatto anche la “pelle” ed è stato al centro del più grande progetto di riqualificazione finanziato con il bonus del 110% a Genova e forse in Italia (lavori conclusi solo nella Casa A, più in alto).
La popolazione insediata, oggi valutata in circa 1.800 persone (2.700 all’inizio degli anni Novanta), era nei primi anni Settanta di circa 3.800 unità con elevata presenza di famiglie numerose. Il complesso è senza dubbio l’opera più conosciuta di Luigi Carlo Daneri, che vi partecipò nella duplice veste di capogruppo e progettista, fu realizzato nell’ambito del secondo settennio del piano nazionale INA-Casa (o “case Fanfani”) ed è costituito da circa 800 appartamenti disposti in 5 lunghi edifici (tre di tre piani e due di sei piani), pensato per accogliere circa 4.500 persone fu progettato nel biennio 1956-57 e realizzato fra il 1960 e il 1968. L’intervento fu promosso con l’obiettivo di allocare il maggior numero di persone in condizioni abitative difficili o precarie.
Secondo il sociologo Luciano Cavalli, che scrive il libro “Inchiesta sugli abituri” del 1957 realizzato su incarico dell’Ufficio studi sociali e del lavoro del Comune di Genova, nei primi anni Cinquanta circa 5.000 persone vivevano in edifici impropri, degradati e in coabitazione fra più famiglie. Molti immigrati del Sud abitavano in baracche, ruderi, scantinati ed edifici bombardati del Centro storico (circa 1.400), in condizioni economiche ed igieniche estremamente precarie. Il tutto mentre la popolazione si andava incrementando fino a raggiungere il massimo storico il 31 dicembre 1965, con 848.121 residenti.
La costruzione dei grandi quartieri residenziali pubblici risentiva di un clima da grande euforia collettiva: considerevoli risorse pubbliche stavano permettendo la realizzazione di opere rilevanti in una città assolutamente impreparata ad accogliere un così massiccio afflusso di persone provenienti dal Mezzogiorno, ma anche dalle zone interne dell’appennino ligure e tosco-emiliano e dal basso Piemonte. Si spiega in questo modo la questione della “grande dimensione” che nasceva da un lato dalla necessità di ospitare ingenti quantità di popolazione, dall’altro dall’influenza di correnti di pensiero in capo architettonico. Sono anche gli anni della grande “speculazione edilizia” che investe non solo le coste liguri travolte dal boom del turismo di massa che richiede la costruzione di seconde case, ma anche l’edilizia residenziale in ambito urbano: le strade che portano ai quartieri di edilizia residenziale pubblica situati sulle colline costituiscono “teste di ponte” per lo sviluppo selvaggio a “condomini” (come nella zona sottostante il Biscione).
Professore associato di Urbanistica, Università IUAV, Venezia
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IL COMMENTO
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