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Continua il dibattito dopo l'editoriale di Maurizio Rossi
3 minuti e 42 secondi di lettura
di Pietro Piciocchi*

L'editoriale di Maurizio Rossi sulla linea di Primocanale (leggi qui) in ordine alla vicenda ucraina, alla tragedia dei profughi, ad un certo modo, tutto a senso unico, di raccontare i fatti, alle responsabilità nel conflitto di quella comunità internazionale che oggi si straccia le vesti con una condanna, a prescindere, della guerra (e per fortuna), suscita in me alcune considerazioni.

La prima è questa: viviamo in una società molto emotiva, si ragiona e si agisce sull'onda del momento, senza pensare al lungo periodo, rinunciando a coltivare una visione critica d'insieme, si decide chi è buono mentre chi è cattivo diventa il capro espiatorio di tutto. In una società che esalta a dismisura il ruolo della ragione, che spesso bolla come irrazionale l'esperienza spirituale dell'uomo, tutto questo è davvero paradossale.
È così che, solo a titolo di esempio, abbiamo nella nostra Città onesti cittadini russi, perfettamente inseriti, che sono arrivati al punto di temere per la loro incolumità, vengono fatti oggetto di scherno, associati alle scelte del loro Presidente.
Si è arrivati addirittura al punto di sfregiare la cultura monumentale, quella con la C maiuscola, annullando uno spettacolo per i duecento anni della nascita di Dostoevskij con il pretesto, ridicolo, che il teatro è un luogo di pace.
Credo che se gli uomini, seguendo il grande scrittore russo, ne facessero proprio l'insegnamento sulla morale quale limite alle azioni umane, oggi non saremmo nella barbarie nella quale ci troviamo. E allora io dico: Dostoevskij?...non solo nei teatri ma anche nelle scuole, sui tetti, nelle case...

La seconda considerazione mi porta a condividere la sottile accusa di ipocrisia verso tanti Paesi occidentali, in primis gli Stati Uniti ma non solo, che ho letto in filigrana dalle parole di Maurizio Rossi.
Anche questo è indiscutibile: pensiamo solo allo sconquasso causato dieci anni fa dalle cosiddette primavere arabe, con in testa Stati come la Francia, che oggi predicano la pace. Solo per restare ai conflitti recenti, pensiamo all'operato degli USA in Siria, destabilizzata e abbandonata al massacro più totale.
E potremmo continuare a lungo.

A questo non fa eccezione la vicenda Ucraina dove la severa condanna di un'aggressione barbara, vergognosa e omicida del Presidente Russo non può prescindere da una censura, altrettanto severa, verso quei Paesi occidentali che in quasi otto anni, nel silenzio più assordante, con i loro atteggiamenti e le loro potenti macchine militari (visto che condannano la guerra) hanno portato ad un escalation di morte molto facilmente prevedibile, fornendo pretesti al Presidente russo.

Ma c'è una terza considerazione, più vicina alle cose di casa nostra, che, come amministratore locale, è quella che mi interessa di più e che riguarda quella sensibilità che dobbiamo mantenere, non solo verso chi sta scappando dalla tragedia, ma anche nei confronti di tutti coloro che nelle nostra Città vivono, e non da oggi, piccole e grandi tragedie quotidiane.
E qui torno all'inizio, all'aspetto emotivo: io mi sono letteralmente commosso, con tanto di lacrime agli occhi, nel constatare la generosità dei genovesi nelle ore che stiamo attraversando.
Continuo a ricevere proposte di case, di ospitalità, chi mette a disposizione mezzi per andare al confine, chi generi alimentari, chi vestiti.
Tutto questo è meraviglioso, davvero lo considero un dono grande, anzi mi sono adoperato in prima persona perché una risposta troppo istituzionale al problema non vada a spegnere questo splendido entusiasmo che attua il grande valore della sussidiarietà come principio di organizzazione di una società moderna ed evoluta.
Ma mi domando: perché non riusciamo a mantenere la stessa mobilitazione di solidarietà, la medesima tensione, la stessa immedesimazione anche per aiutare chi è nel bisogno tra di noi?
Penso al problema dell'abitare: molto spesso ricevo persone che non hanno la casa o che rischiano di perderla. In alcuni casi - non pochi - giovani mamme con bambini. E allora perché non riusciamo a fornire loro lo stesso calore, la stessa disponibilità, con tante case vuote nella nostra Città?

Non ho risposte - e comunque non contano le mie risposte - ma voglio raccogliere la sfida dell'editore di Primocanale: diamoci da fare per i profughi dell'Ucraina - ne abbiamo la responsabilità morale - ma con la stessa intelligenza, lo stesso entusiasmo, non spegniamo la speranza di chi è in difficoltà a casa nostra.
L'una cosa non esclude l'altra, l'amore è fecondo e fantasioso, abbiamo tanti giovani e meno giovani pronti ad adoperarsi, se riusciremo credo che la nostra Città potrà primeggiare come luogo di qualità delle relazioni, e questo è davvero un bel primato, il più importante.

*Assessore ai lavori pubblici Comune di Genova

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