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di Stefano Rissetto

Giornale di guerra e di prigionia: questo il titolo degli ultimi due anni e mezzo ormai, canoni di un tempo sfilacciato e incolore che sperpera se stesso con noncuranza, a lasciarsi inutilmente scandagliare dallo sbigottimento degli umani. Pasqua e Pesach arrivano insieme, parallele postulate nel disincontro, lontano da ogni tregua, traguardo dell’incomprensione. Le ricorrenze cristiana ed ebraica si fanno concentriche, in questo mezzo aprile ancora intriso del gelo portato da un vento nemico, incerto su quale strada seguire, tra le scorciatoie di strane parole antiche come “termobarico”, sommesse declinazioni dell’antico orrore di ora e sempre.

Se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti, ma avremmo tanto bisogno di una sua carezza: questo diceva, nei suoi ultimi melanconici anni da questa parte del tempo, Vincenzo Jannacci medico e artista. Invocava quel Dio di cui aveva bisogno come di un miraggio e che oggi si fa ascoltare in un silenzio sempre più profondo, come emanato da uno spazio inattingibile. Giunto ormai sull’altra riva, Roberto Calasso ci manda invece un messaggio orfico e codificato, un saggio di teodicea sullo sguardo dell’Agnello Mistico, il soggetto cardinale di una delle opere d’arte più impervie della storia: il Polittico custodito nella cattedrale di Gent, dodici pannelli di legno di quercia a firma di Jan van Eyck nell’elogio del fratello Hubertus forse mai esistito, se non appunto in quella firma obliqua. E il sangue che sgorga a fontana da quell’innocenza.

E domenica si officia ancora la Roubaix: sussidiario illustrato dell’inferno, canzone di pietre e di morte, una marcia al supplizio scampata al passato. Non si correva da tempo nel giorno della Resurrezione, due anni fa era stata cancellata e l’ultima si era celebrata a ottobre. Non partiranno il vincitore, fermato dal cuore che è ingannevole sopra ogni cosa, e molti altri corridori, oppressi da problemi pneumologici che si vogliono correlati al morbo che tutti ci tiene sotto scacco. Anche il ciclismo si è infeltrito e ristretto, questa giostra di colori e dolori e amori che sboccia ogni primavera boreale, mentre a Buenos Aires cadono gialle e rosse le foglie. Andiamo a vedere il presente che fugge, intanto Cristo risorge e si dilegua a Est, alla fine e all'inizio dell'Occidente.