GENOVA - Il 7 ottobre 2021 era arrivata la sentenza definitiva in Cassazione per Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi: 3 anni di reclusione per tentata violenza sessuale di gruppo su Martina Rossi, la studentessa genovese che il 3 agosto 2011 morì a Palma di Maiorca, cadendo da un terrazzo di una camera d'albergo al sesto piano, nella tentativo di sfuggire ai due.
Una vacanza con le amiche da cui Martina non è più tornata per poter riabbracciare papà Bruno, da subito in prima linea per chiedere giustizia in un calvario durato più di dieci anni. Un anno dopo dalla sentenza, dopo la quale i difensori avevano chiesto l'affidamento ai servizi sociali, i due si sono costituiti nel carcere di Arezzo. La linea difensiva ha sempre sostenuto in tutti questi anni che Martina si fosse suicidata.
Ai due è stata concessa la detenzione in regime di semilibertà: è questo infatti quanto disposto dal tribunale di sorveglianza di Firenze per i due trentenni aretini condannati in via definitiva a tre anni di reclusione per tentata violenza sessuale di gruppo.
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Dopo la semilibertà concessa ad Akberoni e Vanneschi è arrivato il commento del papà di Martina Bruno Rossi: "La semilibertà concessa agli assassini di mia figlia è un mezzo premio non meritato. Sarei stato più felice se fossero rimasti in carcere e mi chiedo: quali lavori potranno fare? Uno correva in moto, l'altro non mi risulta abbia mai lavorato - spiega il padre della ragazza -. Sono profondamente rattristato ma almeno non hanno avuto i lavori di pubblica utilità, anche perché non hanno fatto niente per meritarselo".
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La sete di giustizia della famiglia è sempre stata motivata anche dalla volontà di contrastare la violenza sulle donne e anche per questo è stato aperto a maggio di quest'anno a Recco il Centro antiviolenza "Martina Rossi" in un appartamento del Comune, dove l'associazione che gestisce il centro lavora in rete con i servizi territoriali per aiutare donne e uomini a uscire da relazioni violente.
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