GENOVA -Un altro omicidio irrisolto degli anni '90 riaperto a Genova quasi dopo trent'anni grazie a una supertestimone e il dna. Si tratta del cold case dell'uccisione di Maria Luigia Borrelli, ex infermiera dalla doppia vita, ammazzata con uno sgabello e un trapano usato come coltello il 5 settembre del 1995 in un basso di vico Indoratori, nel cuore del centro storico.
Un delitto che, come l'omicidio di Nada Cella, la segretaria ammazzata nel 1996 a Chiavari nello studio dove lavorava, potrebbe essere risolto dopo quasi trent'anni dal codice genetico dell'assassino estrapolato dalle pellicine rinvenute sotto le unghie della donna, che si era difesa e aveva ferito l'aggressore.
Quel codice genetico permise di scagionare un elettricista primo indagato dell'inchiesta, un padre di famiglia di Teglia incensurato che nonostante fosse innocente alla notizia della sua iscrizione sul registro degli indagati, un atto dovuto perché era proprietario del trapano che lui aveva usato per fare dei lavoretti nel basso, si tolse la vita gettandosi dalla sopraelevata.
Ai carabinieri titolari delle indagini lasciò un biglietto: "Io sono innocente, trovate l'assassino".
La svolta che ha permesso di riaprire il caso dopo 27 anni è stato il racconto di una genovese al giornalista del Secolo XIX Marco Menduni dopo una trasmissione sui delitto irrisolti a Genova: la donna - che è stata già interrogata in procura - ha detto che di essere la figlia di un'infermiera collega della vittima a cui la madre prima di morire aveva confidato come possibile assassino un primario di chirurgia dell'ospedale San Martino, anch'egli ora deceduto, che si era innamorato delle prostituta.
La mamma della nuova testimone, che nel '96 era una bambina di sette anni, si era insospettita perché il giorno dopo l'omicidio della collega che si prostituiva il primario era arrivato in reparto con graffi sul viso e sulle braccia, tanto che le infermiere gli avevano chiesto se avesse litigato con il gatto.
Il primario non aveva risposto.
Fra i possibili moventi del delitto anche l'usura: si disse che la vittima era una strozzina, mentre in realtà Luigia Borrelli era vittima di usurai a cui si era rivolta perché non riusciva a pagare un bar acquistato dal marito poi deceduto: ed era per questo che la donna aveva iniziato a prostituirsi.
Ai due figli Luigia Borrelli, che nei vicoli si faceva chiamare "Antonella", quando usciva dalla sua casa di Marassi diceva di andare a fare la badante ad un'anziana, in realtà raggiungeva il basso di vico Indoratori, dietro la cattedrale di San Lorenzo, dove riceveva i clienti.
Una prostituta atipica, Antonella, che aveva una vita e una famiglia normale e per questo molto discreta: la porta del basso era sempre chiusa, anche in estate, al contrario di altre alcove a luci rosse del centro storico dove la porta è lasciata semiaperta per attirare i clienti.
Le indagini sul nuovo filone del delitto del trapano sono state affidate dai poliziotti della squadra mobile della polizia, che 27 anni fa avevano indagato solo sul filone dell'usura, mentre l'inchiesta sull'omicidio era stata condotta dai carabinieri.
La prima stranezza nel racconto della superteste è quella che la mamma avrebbe chiamato la sua ex collega uccisa "Antonella", un nome che però Maria Luigia Borrelli utilizzava solo quando vestiva i panni della prostituta e che nessuno in ospedale conosceva.
IL COMMENTO
Situazione drammatica, presidente Meloni serve incontro urgente
La Liguria vuole tornare a correre, al via i cento giorni di Bucci