GENOVA -Neanche il codice genetico sembra poter riuscire a risolvere il giallo sull'uccisione di Nada Cella e così Silvana Smaniotto, la mamma della segretaria uccisa il 6 maggio del 1996 a Chiavari, appare più demoralizzata che mai: "Io non ci speravo, c'era da aspettarselo perchè gli esami che hanno fatto adesso avrebbero dovuto farli 27 anni fa, ma adesso non ho più voglia di parlarne...".
Uno sconforto comprensibile quello che Silvana riferisce al telefono dalla sua abitazione di Chiavari di via Piacenza. Una madre che si è sempre battuta affinché le indagini smascherassero l'assassino della figlia.
"Adesso sono stanca" dice la donna aggiungendo in modo confidenziale il nome del cronista che sta dall'altra parte del telefono, come a trovare un aiuto, una spalla su cui sfogarsi. "Non ho più voglia di vedere nessuno, dopo tanti anni sono un po' demotivata, dei responsi degli esami del genetista nessuno mi ha detto niente, so solo quello che ho letto sui giornali, e quello che è filtrato non mi pare incoraggiante".
Nonostante tutto c'è da scommettere che Silvana non si arrenderà mai. Ma è indubbio che le prime notizie riferite sugli esiti degli esami sulla comparazione dei dna svolti a Roma dal genetista Gaetano Giardina fra reperti rinvenuti sul luogo del delitto e sull'unica indagata Anna Lucia Cecere non sono incoraggianti.
L'esperto, che ha consegnato gli esiti quasi un anno in ritardo, non avrebbe trovato la prova schiacciante, forse ha in mano qualche indizio scientifico, ma non abbastanza per incastrare la sospettata.
Come a dire il caso, il giallo fra i più inquietanti della recente storia criminale d'Italia, rischia di rimanere irrisolto: "Hanno fatto tanti errori" rimarca la mamma forse pensando a chi ventisette anni fa non coordinò carabinieri e polizia che lavorarono senza scambiarsi le informazioni.
Il "cold case" di via Marsala è stato riaperto dopo quasi trent'anni dai poliziotti della squadra mobile grazie a un particolare rinvenuto dalla criminologa barese Antonella Delfino Pesce capace di scovare fra migliaia di carte dell'inchiesta un particolare che era sfuggito all'allora magistrato di Chiavari titolare delle indagini Filippo Gebbia: i carabinieri dopo il delitto avevano sequestrato in casa di Cecere - nel '96 indagata e sbrigativamente archiviata dal pm - bottoni identici a quello rinvenuto sulla scena del delitto (l'ufficio del commercialista Marco Soracco), dai poliziotti della squadra mobile, che però appresero del particolare solo a distanza di 25 anni, proprio grazie alla criminologa pugliese.
Il silenzio della procura sugli esami del Dna se ha una parte fanno male e non lascia presagire nulla di buono, dall'altra possono lasciare acceso ancora un lumicino acceso: forse quel silenzio è giustificato dalla necessità di nascondere qualche notizia importante che potrebbe dare, dopo 37 anni, la svolta decisiva al giallo. Mamma Silvana, c'è da giurarlo, nel suo cuore ci spera ancora.
IL COMMENTO
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