Cronaca

I silenzi, le contraddizioni e le lacrime del lacunoso racconto dell'ingegnere di Aspi Livia Pardi portano in aula la superficiale e colpevole filosofia della gestione dei controlli del viadotto Polcevera. Il tecnico aveva definito il ponte sicuro sino al 2030
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di Michele Varì

GENOVA -Qualche esperto penalista in aula dice che non è stata indagata ma strategicamente solo arruolata come teste per consentirle di parlare e fare trapelare anche al processo le responsabili superficialità e omissioni con cui Autostrade gestiva le strade e il monitoraggio di Ponte Morandi.



Di certo Dalle parole dell'ingegnere di Autostrade per l'Italia Livia Pardi, testimone dell'accusa, per certi versi una specie di cavallo di Troia dei pm, la cui deposizione ha occupato l'intera udienza del processo per il crollo del ponte Morandi, nonostante i tanti silenzi, i non ricordo, le contraddizioni, e pure le lacrime, è trapelata per la prima volta l'inquietante pressapochismo di come veniva gestita Autostrade per l'Italia.


Una scena muta e piena di reticenze consumatasi davanti ai due principali imputati: l'ex amministratore delegato Castellucci e l'ex capo delle manutenzione di Aspi Donferri Mitelli. Due sfingi in aula.

L'ingegnere Pardi quando è stata chiamata a illustrare dal pm Cotugno una sua circolare inviata nel 2004 ai dirigenti di Aspi non ha saputo spiegare nei dettagli nessuno dei punti contestati. Tanto che indurre a pensare che lo scritto non fosse farina del suo sacco.

Un documento in cui lei scrive che la sicurezza era legata "ai costi e benefici".

Come a ribadire quanto sostenuto da tempo dai pm titolari delle indagini: il primo obiettivo della gestione Aspi dell'ex amministratore delegato Castellucci per conto della famiglia Benetton era ottenere più dividendi, la sicurezza? Solo un optional, tanto che il monitoraggio poteva essere impostato, ha detto Pardi, anche con un gelido algoritmo.

Lo stesso giudice Paolo Lepri di fronte a tanti silenzi ha ricordato alla teste che aveva l'obbligo di dire la verità.

Pardi nel 1994 pubblicò insieme ad altri colleghi fra cui Michele Donferri Mitelli, un articolo nelle pagine del trimestrale Autostrade.

Studio che evidenziava "un degrado diffuso sugli stralli delle pile 9, 10 e 11, e una serie di ulteriori degradi concentrati, alcuni dei quali all’attacco degli stralli della 11".

La pubblicazione però terminava con una previsione poco coerente ipotizzando il fine vita del ponte nel 2030". Come a dire, tanto degrado sul quel ponte ma nessun rischio di crollo.

Una previsione superficiale e azzardata smentita dalla tragedia del 14 agosto del 2018 costata la vita a 43 persone.

L'infinita audizione di Livia Pardi proseguirà lunedì con il controesame

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