Cronaca

I genovesi, tra cui Stefano Rebora, presidente dell'ong Music for Peace, sono bloccati nel caos che si è creato lunedì tra violenti scontri tra forze regolari e paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf)
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di T. O.

SUDAN - "Ormai le giornate si susseguono con la medesima cadenza oraria: dalle 4 di notte a mattina inoltrata forti scontri via terra e via aerea. Silenzio fino al Iftar, ripresa degli scontri". Continua la storia dei quattro volontari più un bambino di otto anni dell'associazione genovese Music for Peace, impegnati in un progetto umanitario nella capitale del SudanKhartoum, da giorni bloccati a pochi metri dal fronte degli scontri armati. In "trincea" insieme ai genovesi tanti italiani di diverse organizzazioni umanitarie da tutto lo stivale.

I genovesi, tra cui Stefano Rebora, presidente dell'ong Music for Peace, sono bloccati nel caos che si è creato lunedì tra violenti scontri tra forze regolari e paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf).

"Ieri abbiamo ricevuto svariate notizie, due delle quali sono state particolarmente dolorose - si legge in un messaggio del presidente di Music for Peace - : un'internazionale è sceso per strada in orario notturno e sembra sia stato ferito con un colpo d'arma da fuoco; la casa di una donna locale che conosciamo è stata colpita, insieme a una comunità religiosa nella zona di Omdurman. La tregua di 24 ore, come potete capire non ha assolutamente retto".

Sarebbe quindi fallita la tregua, il cessate il fuoco di 24 ore pensato per permettere ai soccorsi di raggiungere i civili colpiti dai combattimenti e portare le parti a ragionare: nessun segno di stop alla violenza che ha già fatto salire il numero dei morti a più di 180.

"In questi giorni siamo stati contattati da innumerevoli giornalisti, che ringraziamo per avere dato spazio alla tematica Sudan - continua Rebora -. La notizia infatti non è che ci sono 5 genovesi bloccati a Khartoum, siamo molti connazionali tra cui i colleghi di altre ONG come OVCI, COOPI, EMERGENCY, AISPO, ma anche il personale di AICS Khartoum (Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo), il nostro Ambasciatore e tutto lo staff d'Ambasciata. Il problema non siamo solo noi, ma un'intera popolazione ridotta alla fame, privata della libertà e sottoposta a un percorso non scelto di antidemocrazia".

"Ci appelliamo alla comunità internazionale, dai governi ai cittadini, affinché si possa adoperare il prima possibile per ristabilire ordine e un concreto aiuto per lo sviluppo di questo paese. Non dimentichiamoci che il Sudan è l'antiporta d'Europa, è il paese che accoglie i profughi di tutti i paesi che lo circondano".

 

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