Cronaca

Evaristo Scalco in aula, "Ho distrutto la vita della famiglia di quell'uomo e la mia e me la porterò sulla coscienza per tutta la vita, ora farò di tutto per aiutare i familiari della vittima". La figlia di Romero: "Voglio giustizia per mio papà"
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di Michele Varì

GENOVA -"Non volevo colpire nessuno ma solo spaventare quei due uomini che mi avevano gettato in casa un petardo. Con quella freccia intendevo centrare il vaso di fiori di plastica che c'è nel cortile e invece ho fatto la cosa più stupida della mia vita che mi  porterà addosso per sempre...".

A parlare è Evaristo Scalco, 64 anni, l'artigiano che nella notte fra l'1 e il 2 novembre dello scorso anno ha ucciso con una freccia in vico Mele, nel centro storico di Genova, Javier Alfredo Miranda, 40 anni, muratore peruviano che stava festeggiando la nascita del figlio. L'imputato oggi ha raccontato la sua versione davanti ai giudici della Corte di Assise nell'udienza del processo che lo vede accusato di omicidio volontario.

Agli arresti domiciliari nella sua casa in provincia di Varese, Scalco in aula ha ricostruito così la tragedia: "Era passata mezzanotte, ero appena rientrato da una cena con i colleghi con cui avevamo trasferito a Genova una barca a vela da Malta, ero alla finestra di casa mia per fumarmi una sigaretta. Mi sono arrabbiato quando ho visto due uomini fare pipì contro la saracinesca di un basso di un disabile che avevo aggiustato io. Ero molto stanco, gli ho gridato che quelle cose non si fanno, forse gli ho detto anche "stranieri di merda", anche se io non sono mai stato razzista, anzi, ma uno di loro mi ha lanciato un petardo in casa. Mi sono accorto di questo quando ho visto la carta del petardo  nella mia abitazione, l'ho presa e glielo lanciata contro, loro hanno esploso un secondo petardo gridandomi minacciosi in spagnolo di scendere in strada. Io li capivo visto che mia moglie è argentina e parlo lo spagnolo e ho perso la testa: ho afferrato l'arco, che era già armato, e  ho scoccato la prima freccia che ho trovato, da caccia  con tre punte, ma volevo solo per spaventarli, mirando a un vaso di plastica con dentro la terra, perchè se avessi colpito qualcosa di duro potevo fare male alle persone con i frammenti della freccia, invece mi sono accorto che ho colpito uno due due, quello che aveva urinato sulla saracinesca".
"E' stato allora che sono sceso per capire cosa era successo e prestargli soccorso. Il ferito era in  pancia in giù, l'ho  girato e ho cercato di capire che ferita aveva, era buio, ho cercato di estrarre la freccia, ma avevo le mani che mi scivolano perché erano sporche di sangue, per terra c'erano altri frammenti della freccia, non ho chiamato il 112 perché il cellulare l'avevo lasciato in casa, poi sono salito nell'appartamento a prendere degli asciugamani per tamponare la ferita e una coltello multiuso con la pinzetta per provare ad estrarre la punta della freccia. Ma dopo due tentativi poi mi sono fermato perché mi rendevo conto che potevo peggiorare la situazione. Quando sono arrivati i carabinieri mi sono assunto le mie responsabilità e sono stato portato in caserma dove mi hanno arrestato. Ho appreso che il ferito era morto solo dopo due giorni in carcere, guardando la tv ".

 
Il racconto dell'imputato, intermezzato e incalzato dalle domande degli avvocati delle parti civili, dei suoi legali e del pm Arianna Ciavattini, va avanti in un'aula in silenzio. Nell'aula c'è pure la figlia diciannovenne della vittima, Alessia Marta Miranda Mendoza, che poi parlando con i giornalisti ha chiesto "giustizia", aggiungendo: " “Non mi è sembrato un pentimento completo il suo, come mi sembra molto strano come non sapessero della mia esistenza fino a pochi mesi fa”. Alessia ricorda l’ultima volta che aveva visto il padre: “Quella domenica abbiamo fatto colazione insieme, con lui avevo un bellissimo rapporto. Poi al pomeriggio mi ha mandato una foto del mio fratellino. Gli ho risposto che era molto carino. Poi più nulla, i carabinieri mi hanno fatto chiamare a scuola la mattina dopo per dirmi cosa era successo”.
 
In aula è stata sentita anche la moglie di Scalco, Gloria Eleonora Alfinito, un'insegnante argentina, che ha raccontato chi è il compagno con cui vive a trent'anni: "Mai stato razzista, sennò non potrei stare con lui. "Evy" non è mai stato violento. Ora faremo di tutto per aiutare la famiglia della vittima, abbiamo quotidianamente presente il fatto che questo bambino crescerà senza papa e faremo fronte per quanto possiamo, ma non sapevo che Romero avesse anche una figlia più grande".
 
Il verdetto del presidente della corte di assise Cusatti dopo due udienze fissate per dicembre, il 15 per la requisitoria del pm e il 18 per le conclusioni degli avvocati,  potrebbe essere pronunciato fra poco più di un mese, nell'udienza dell'11 gennaio del prossimo anno.
 
 

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