Erano circa le 15 del 22 febbraio 2021 quando un gruppo di operai che stava lavorando alla ristrutturazione di alcuni colombari nel cimitero di Camogli sentì prima un forte boato e poi il terreno vibrare. A quel punto una parte della parete della falesia precipitò e in poco tempo il mare verde smeraldo divenne di color marrone. I defunti caduti furono in tutto 415: 227 salme, 20 ceneri e 168 cassette mentre il crollo coinvolse 387 loculi.
Da tempo si stava lavorando alla messa in sicurezza della falesia sottostante, già messa a dura prova dal maltempo e dalla mareggiata avvenuta nell'ottobre 2018 anche se la frana non si staccò nel punto degli interventi ma a valle della strada provinciale di Camogli. Già nel 2014 il dipartimento di Scienze della terra dell’università di Genova aveva segnalato un grosso problema in quell'area.
Il recupero iniziò poche ore dopo e durò molto a lungo, anche a causa del pericolo di nuovi crolli. Nelle settimane successive i vigili del fuoco impiegarono sommozzatori, elicotteri, droni subacquei e sonar; il tratto di mare venne circoscritto e chiuso per impedire che le correnti trasportassero al largo i corpi. Un lavoro paziente e pietoso ma quello più delicato riguardò – tra il dolore dei parenti dei defunti coinvolti - il riconoscimento di centinaia di corpi da identificare prima di essere nuovamente tumulati. La procura di Genova aprì un fascicolo per il reato di crollo colposo.
Nei giorni successivi al crollo si manifestò il raro e suggestivo fenomeno della caligo, la nebbia che arriva dal mare e che secondo le credenze popolari accompagna le anime verso l’aldilà, e da lì ha preso il nome il Comitato fondato da alcuni parenti dei morti che si sono associati per tenere vivo il ricordo. Che due anni dopo la disgrazia è ancora straziante.
IL COMMENTO
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