Cronaca

Il punto di Primocanale: le udienze più importanti: gli audio con Donferri, le rivelazioni di Mion, i sopravvissuti, le rivelazioni di Codacci, le denunce inascoltate del senatore Rossi e le scoperte di Migliorino e ora il rischio di un'altra perizia
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di Michele Varì

 

GENOVA - Gli audio registrati di nascosto tradiscono il tono con cui l'architetto Michele Donferri Mitelli, il numero tre di Autostrade per l'Italia, ordinava al progettista Emanuele De Angelis cosa scrivere nella relazione per il retrofitting del ponte Morandi, il progetto che avrebbe evitato il crollo del 2018 in cui sono morti 43 innocenti che in quel momento transitavano sul viadotto.



Registrazione effettuata di nascosto il 5 luglio 2017 da un altro imputato un anno prima della tragedia ed echeggiata nell'aula del processo Morandi.
Era il 16 ottobre 2023. Una data importante.

E' questo uno dei momenti emblematici del maxi processo per il crollo del ponte Morandi che sta mettendo a nudo l'arroganza di Autostrade per l'Italia che, come affermano i magistrati, si era venduta l'anima al diavolo barattando la sicurezza in cambio di denaro, tanto denaro


Per trovare un'altra udienza cruciale del processo bisogna tornare ad alcuni mesi prima, al 22 maggio 2023.

A parlane è Gianni Mion, il cassiere della holding Atlantia, l'uomo che ha contribuito a far lievitare le ricchezze dei Benetton.


Gianni Mion, ammette in aula che in una riunione informativa del gruppo del 10.11.2010, apprese che l'errore di progettazione del Morandi era noto a tutti. E quando chiese come venisse certificata la sicurezza del ponte si sentì dire in modo sbrigativo "Ce la autocertifichiamo noi".

Il tutto alla presenza dei vertici del gruppo: il collegio sindacale, l'amministratore delegato di Aspi Castellucci, il direttore generale Mollo, il rampollo dei Benetton, Gilberto.


Quel "ce la certifichiamo noi" ha tolto il sonno a Mion, che però allora non alzò la mano per dire no, non disse nulla. E lasciò anche lui che il treno impazzito procedesse verso il baratro. Come è accaduto puntualmente otto anni dopo.


Le dichiarazioni di Mion sono state una crepa nel muro di omertà dell'apparato di Aspi e Spea, con dirigenti a fare quadrato attorno agli imputati eccellenti. Quel giorno si sperava che Mion potesse essere solo il primo di una lunga serie di dirigenti del mondo di Autostrade e di Atlantia a parlare, a vuotare il sacco davanti ai giudici, per dire "abbiamo esagerato, saremmo dovuto intervenire, bloccare il ponte e fare sulla pila 9 gli stessi lavori di messa in sicurezza che avevamo fatto sulla pila gemella numero 11 negli anni '90".

Lo stesso Morandi - nel 1979, aveva detto che la sua creatura andava controllata in modo costante. Perchè i cavi di acciaio annegati nel calcestruzzo, che ne facevano un ponte nuovo e innovativo, erano anche la sua debolezza visto che la salsedine del mare aveva già attaccato e fessurato la struttura.

E invece in aula nessuno ha seguito l'esempio di Mion.

Al processo è emerso che dopo la messa in sicurezza della pila 11 per le altre due pile gemelle solo rinvii, pochi controlli sul campo e limitati, da lontano, con binocoli e macchine fotografiche, da parte di Spea, la società di ingegneria che aveva il compito di monitorare, ma invece ubbidiva come un cagnolino ad Aspi, ad Autostrade, a Castellucci, il cui vanto, la carriera, e il conto in banco, crescevano con i dividendi che garantiva ai soci di Atlantia. Ai Benetton.

Un mare di soldi, come hanno calcolato i finanzieri che hanno svolto una delle indagini più importanti della storia del Paese, e come ha riferito in aula in qualità di teste dei pm Ivan Bixio comandante del Primo gruppo Genova che ha svolto l'indagine: Tra 2010 e 2018 ai soci di Autostrade e Atlantia, controllata dalla famiglia Benetton, sono andati 7 miliardi di dividendi. L'88 per cento dei dividendi incassati da Atlantia, in quegli anni, proveniva da Autostrade. Solo il 12 per cento da altre attività.

Bixio, ora comandante provinciale a Reggio Emilia, in aula è stato subito assediato dai familiari delle vittime, mai cosi numerosi sotto il tendone bianco, una scena quasi commovente, il loro modo di dire grazie agli inquirenti.

Se la curva dei dividenti tra 2010 e 2018 è sempre salita, quella dei costi delle manutenzioni ha fatto il percorso contrario: dal miliardo e mezzo speso nel 2010 ai 770 milioni del 2018, praticamente la metà. Mentre negli stessi anni le altre concessionarie del settore autostradale aumentavano i costi di produzione.

Un processo, quello del Morandi, maxi nei numeri, come quelli istruiti per i mafiosi: 58 imputati, un'infinità di parti civili, centinaia di testi, dell'accusa e della difesa, e poi decine di periti e di consulenti, un'infinità di capi d'accusa: omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione di atti di ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Un processo che per arrivare ai tre gradi di giudizio rischia di rivelarsi infinito. Con reati in prescrizione e primi attori che andranno in pensione, primo fra tutti il pm Massimo Terrile, il regista dell'inchiesta che compirà 70 anni a novembre e che quasi sicuramente pur a distanza di sei anni dalla tragedia non potrà essere in carica il giorno della sentenza.

E' stato proprio Terrile a dare il via all'indagine, che era partita subito dopo quel tragico 14 agosto del 2018, il giorno del crollo. Alle 11.36 quando Genova era battuta da un forte temporale e il viadotto Polcevera era avvolto dalla foschia. Il ponte era crollato uccidendo 43 persone.

Quattro giorni dopo la tragedia, sabato 18 agosto, alla Fiera del Mare, Genova e l'Italia intera si sono strette ai familiari delle vittime in occasione dei funerali di stato alla presenza delle più alte autorità, con in testa il presidente della Repubblica Mattarella, negli occhi di tutti il dolore e la consapevolezza che il disastro era stato causato da chi avrebbe dovuto controllare il Morandi. Famiglia Benetton come Castellucci erano stati invitati a stare alla larga dalle esequie.

Molto vicino alle famiglie delle vittime era stato invece il procuratore di Genova di allora Francesco Cozzi, che alla domanda su come spiegherebbe la tragedia ad un bambino, era stato chiarissimo: "Era un malato che doveva essere curato"

Le indagini fanno finire sul banco degli imputati 58 persone fra cui i vertici di Autostrade per l'Italia e di Spea la controllata che avrebbe dovuto monitorare Aspi. Ci sono i vertici a Roma, l'ex amministratore delegato Giovanni Castellucci, ma anche i numero 2 e 3 di Aspi, Paolo Berti e Donferri Mitelli.

Sotto accusa anche dirigenti pubblici Anas e del Ministero delle Infrastrutture e alcuni consulenti.


Nel settembre del 2022  in aula  arrivano i sopravvissuti, quelli che erano sul ponte al momento del crollo e si sono salvati.


Il 12 dicembre ecco Gianluca Ardini, rimasto 4 ore appeso nel vuoto assieme al collega Luigi Altadonna, che invece non ce l'ha fatta. Ardini stava per diventare padre e il suo racconto mette i brividi.

Il giorno dopo, è il 13 dicembre 2022, parla l'uomo del furgone Basko, Luigi Fiorillo, salernitano residente nel basso Piemonte che per quattro lunghi anni si è rifiutato di rilasciare interviste anche dietro lauti compensi,
"L'unica cosa che mi interessa è la tranquillità della mia famiglia" spiega un volta intercettato dal cronista mentre attende di essere interrogato dai giudici. In aula spiegherà che quella mattina "mi è caduto il ponte davanti. Andavo a velocità molto moderata perché c'era traffico a tratti. La visibilità era mezza buona, pioveva forte in quel momento, da pochi minuti diciamo. Sono stato superato da una macchina e mi sono anche lamentato del rallentamento di questa macchina, una macchina gialla che ha sfruttato la mia distanza di sicurezza per infilarsi. Poi Mi sono reso conto che il ponte era andato giù e il crollo si era fermato poco prima del mio mezzo"-

Quell'auto gialla era di Henry Diaz, il fratello di Emmanuel, l'unico familiare che assiste a tutte le udienze del processo. Per chiedere giustizia.


Altra giornata importante è il 6 febbraio 2023.

In aula emerge che l'unico che negli anni 90 aveva provato a sollecitare la ristrutturazione della pila 9 era stato un giovane ingegnere allievo di Morandi. Ma era stato quasi irriso da due degli imputati eccellenti di Autostrade per l'Italia, Donferri e Camomilla, che avevano garantito "la pila 9 non è a rischio, lo dicono le prove riflettometriche". Già, quelle prove che per tutti erano inaffidabili.
Quel giovane ingegnere che aveva previsto una delle più grandi tragedie moderne d'Italia, confermerà tutto con uno scambio di mail un altro ingegnere, Paolo Rugarli, il consulente tecnico delle famiglie Bellasio e delle sorelle Possetti, parti civili, i veri danneggiati della tragedia perché non hanno perso una casa o un lavoro, ma i familiari, i nipoti, i figli. Tutto.

Quando Rugarli racconta questa storia in aula fa drizzare le antenne a tutti, pure ai pm. I giudici poi hanno accolto la richiesta di portare in aula quel giovane ingegnere che aveva osato sfidare i baroni, e che ora, a quasi trent'anni di distanza, dovrà raccontare di quella profezia. Quell'ingegnere, ormai non più giovane, Emanuele Codacci Pisanelli, romano, che nel frattempo ha costruito ponti sul Nilo, in Congo, in Niger e sullo Zambesi, e ha lavorato in Asia e America Latina, è stato ascoltato in aula, nel silenzio più assoluto, lunedì

Il 21 marzo 2023 in aula c'è un altro teste cruciale dell'accusa, è Placido Migliorino, il super ispettore del Mit che dopo il crollo viene inviato dal Ministero a controllare le autostrade della Liguria, la faccia pulita dello stato, uno spauracchio per gli indagati che nelle intercettazioni lo definiscono il Mastino. Non è un caso se il suo omologo che lavorava a Genova è tra gli indagati.

Le cause del crollo sono il cuore delle prime indagini che confluiranno nell'incidente probatorio, il prologo al processo: per la procura la colpa è della mancata manutenzione della pila nove che ha provocato il collasso della struttura.

La riprova dalla vivisezione delle macerie, dal reperto numero 132 dove è iniziato il distacco. Il focus del gip Angela Nutini è sul progetto di retrofitting che avrebbe dovuto metterlo in sicurezza, lavori però mai avviati, lavori che sarebbero dovuti partire due mesi dopo la strage.


I pubblici ministeri all'inizio del processo depositano una memoria ribadendo con documenti e altri elementi quanto riferito in sede di udienze preliminare: Autostrade e Spea erano a conoscenza dello stato di degrado e ammaloramento delle strutture del ponte Morandi almeno dagli anni '90. In quel periodo sono stati eseguiti infatti i primi interventi sulla pila 11 del viadotto, da allora però non è stato più eseguito alcun intervento per evitare il crollo.

Troppo semplice e facile come difesa.

Le dichiarazioni degli avvocati di Giovanni Castellucci sono smentite dalle indagini e ancora prima dalle interrogazioni dell'ex senatore Maurizio Rossi, fondatore ed editore di Primocanale, eletto nel 2013 in Parlamento. Lui aveva segnalato più volte i problemi di sicurezza del sistema autostradale Ligure e di ponte Morandi con interrogazioni nel 2015 e 2016 all'allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio, interrogazioni però rimaste senza risposte.

Il 27 giugno 2023, l'ex ministro Delrio in aula, si giustificherà dicendo di avere apprese delle interrogazioni del senatore Rossi solo dopo il crollo del Morandi perché al ministero arrivano centinaia di interrogazioni e non a tutte viene chiesto di rispondere.


Come a dire che l'ufficio del ministro e il ministro stesso non si accorsero dell'importanza di due interrogazioni che chiedevano attenzione sulla solidità dell'opera più importante, dal punto di vista strategico e architettonico, della rete autostradale italiana, per questo definita dai magistrati titolari dell'indagine la "Gioconda di Autostrade".  

Rossi, tre anni prima del crollo, aveva chiesto al ministro Delrio «in dettaglio l'attuale situazione dei lavori di messa in sicurezza del ponte Morandi».
Un altro ex ministro in aula invece trova il tempo di chiedere scusa ai familiari delle vittime. E' Antonio Di Pietro, il pm di Mani Pulite, un vecchio leone che in tribunale è molto gentile con guardiani e carabinieri, meno con i cronisti che evita con la scusa di dover correre a prendere il treno per tornare a casa.



AUTUNNO 2023: PARLANO (POCO) GLI IMPUTATI

L'autunno 2023 inizia con qualche imputato che accetta di farsi interrogare. Il progettista De Angelis viene torchiato per giorni e giorni e quando finisce scoppia in un pianto liberatorio. Gli altri imputati capiscono che è meglio evitare di finire sotto il tritacarne. Qualcuno accetta di rilasciare dichiarazioni, ma senza contraddittorio.

L'inizio del 2024 è contrassegnato dai testi a difesa degli imputati, sono centinaia. Troppi, il presidente del collegio giudicanti Paolo Lepri, che ha sempre cercato di dialogare con le parti, invita legali a scremarli. E gli avvocati dei presunti "cattivi" collaborano, come sottolinea l'avvocato Marcello D'Ascia, legali di alcuni imputati di Aspi, che rigetta l'accusa di tendere ad allungare i tempi del processo per fare cadere alcuni retai in prescrizione, "stiamo tutti collaborando affinchè i dibattimento vada avanti alla ricerca della verità"


INIZIO 2024: LA PAROLA AI TESTI DELLE DIFESE


Alla fine i testi di Castellucci e gli altri si ridurranno a poche decine tanto che le udienza a loro dedicate spesso saltano o sono difficili da riempire. Ma non è una perdita di tempo, perché ormai la strada del processo più importante e complesso dell'era moderna è tracciata.

PRIMAVERA 2024: IN AULA I CONSULENTI E I PERITI SULLA CAUSA DEL CROLLO

Poi ci sarà la finestra tecnica, tutt'ora aperta: il cuore del processo. In aula i consulenti, oltre 50 esperti, per buona parte ingegneri, per appurare le cause del crollo. Le responsabilità

Da una parte i consulenti dei pm, dall'altra quelli degli imputati.
I primi affermano che il viadotto è crollato per la mancata manutenzione di chi non poteva non sapere che i cavi della pila 9 potevano essere corrosi.

La teoria dei consulenti degli imputati, anticipata da Primocanale, invece punta su un vizio occulto e occultato durante la costruzione dell'ultima pila, la 9, e punta l'indice contro lo Stato.

Perché quando venne affidata la concessione ad Aspi nessuno svelò del difetto nascosto nella pila che ha provocato il crollo.

Il difetto sarebbe emerso solo dopo la tragedia durante il secondo incidente probatorio dall'analisi del reperto del ponte numero 132, ritenuto il punto del crollo anche dagli inquirenti.

L'errore di costruzione sarebbe avvenuto negli anni 1965/66 durante l'iniezione della malta che avrebbe dovuto bloccare i cavi nella rastrelliera alla sommità dello strallo della pila 9.

Per questo errore, a detta dei consulenti degli indagati, quando furono installati i cavi definitivi dentro il calcestruzzo al posto di quelli provvisori situati all'esterno, la rastrelliera si accartocciò e l'impalcato cedette di quasi mezzo metro.
 
Ovviamente tutti nel grande cantiere si sarebbero accorti di questo ma nessuno lo avrebbe mai fatto trapelare all'esterno.
Per questo, diranno i consulenti delle difese, non sarebbe mai stato trovato il giornale dei lavori, e per questo non è mai stato effettuato il collaudo statico del ponte, e neppure le prove di carico della pila nove.

L'errore venne riparato con cavi d'acciaio di rinforzo lungo l'impalcato, nella pancia della strada. Cavi poi rinvenuti e di cui fu riferito negli anni '90 - riferiscono fonti bene informate - all'architetto Morandi quando venne rifatta la pila 11.

Ed è per questo che il progettista già negli anni '80 avrebbe lanciato l'allarme affinchè il suo ponte venisse monitorato con particolare attenzione. Un'avvertenza che dopo pochi anni non avrebbe avuto senso visto che un viadotto dovrebbe avere una speranza di vita di 300 anni.

Di quel difetto di costruzione non sarebbe stata lasciata nessuna traccia dalla ditta costruttrice, perché sennò avrebbe dovuto rifare la pila 9. Questo avrebbe rischiato di fare slittare la data dell'inaugurazione che avvenne in pompa magna nel 1967, con tanto di sfilata del presidente della repubblica Saragat a percorrere per primo il viadotto Polcevera.

Una passerella su un ponte, l'orgoglio dell'ingegneria italiana, avveniristico ma con il destino forse già segnato.

Ma anche di fronte alla tesi del vizio occultato gli inquirenti, i magistrati, sosterranno le colpe di Autostrada per l'Italia e degli altri imputati:
Se compri un'auto usata senza accertare se è immatricolata e ha superato i collaudi, in caso di incidente per un difetto meccanico, la colpa è solo tua.

Impossibile per ora prevedere quando si potrà arrivare al giorno al verdetto.

Il  grande punto interrogativo è la possibilità molto concreta che i giudici o anche una delle parti richieda un supplemento di perizia, di fatto un altro incidente probatorio all'interno del processo, e questo sarebbe un macigno sul processo, che potrebbe vedere dilatare ancora di più i tempi. Di mesi, anche se le normative pongono il limite di 60 giorni.

Dopo l'estate si spera possa esserci la discussione e poi le requisitorie dei pm, l'accusa, poi ci saranno le arringhe degli avvocati dei difensori.

Poi la lunga sosta per dare il tempo ai giudici di decidere. Il verdetto, si spera, potrebbe arrivare entro l'estate del 2025.

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