Cronaca

Il racconto toccante di quanto vissuto a bordo della nave Sea Watch 5 durante un'operazione di salvataggio
1 minuto e 25 secondi di lettura

LA SPEZIA - “Durante la scorsa missione di Sea Watch 5 siamo intervenuti su un'imbarcazione che sottocoperta aveva quattro persone in stato di forte intossicazione dai fumi del motore -. Racconta Luca Marelli del team di Sea Watch -. Una di queste persone, Raman di soli 19 anni, è morto. Le altre tre sono rimaste in condizioni critiche, per cui abbiamo dovuto richiedere un'evacuazione medica d'urgenza”.

 “Il porto di sbarco assegnato era quello di Ravenna, ma, in quel momento, ci trovavamo sostanzialmente verso Lampedusa – prosegue Marelli ricordando la penultima missione -, per cui avremmo dovuto circondare l'Italia, entrare nell'Adriatico e raggiungere Ravenna. Avevamo a bordo la salma di Raman, perché l'Italia non aveva autorizzato il trasbordo sulla motovedetta che aveva effettuato l’evacuazione medica d’urgenza, per cui abbiamo dovuto richiedere più volte di poter sbarcare almeno il suo corpo. A bordo non abbiamo una cella frigorifera, per cui il cadavere era all’aperto e l'equipaggio ogni quattro doveva cambiare il ghiaccio che proteggeva il corpo. Una situazione assolutamente non rispettosa della dignità di questa persona, neppure da morta”.

 “Siamo riusciti ad ottenere ci fosse assegnato il porto di Pozzallo per sbarcare la salma di Raman, mentre nell'Adriatico c'era una forte perturbazione. Con quelle condizioni meteomarine era impossibile affrontare con a bordo quel numero di persone il resto del viaggio. Siamo riusciti ad ottenere Pozzallo come porto di sbarco, ma in realtà dopo essere sbarcati abbiamo ricevuto una detenzione di 20 giorni come applicazione del decreto Piantedosi. Il fermo è stato successivamente sospeso dal Tribunale di Ragusa che ha riconosciuto come il comportamento dell'equipaggio fosse stato corretto e non avesse violato il fermo” conclude il referente del team Sea Watch 5.