Cultura e spettacolo

Diretto da Sarah Polley prende spunto da un episodio realmente accaduto all'interno di una comunità mennonita in Bolivia
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di Dario Vassallo

Tra il 2005 e il 2009, 150 donne e ragazze furono drogate e poi stuprate in Bolivia da uomini della loro comunità mennonita, rappresentanti di una chiesa anabattista fondata su una sorta di pacifismo che però rende complicata la condizione delle donne, ghettizzandole e costringendole all'analfabetismo e alla procreazione. In quel caso si svegliavano senza avere idea di cosa fosse successo ma vedevano sangue sulle lenzuola e sulle gambe o notavano che erano prive di biancheria intima. La fascia di età delle vittime andava dai 5 ai 65 anni. Nonostante in sistemi religiosi chiusi come questi le cose vengono normalmente gestite internamente quella volta gli anziani della comunità decisero di spiare alcuni uomini cogliendoli sul fatto e denunciandoli alle autorità boliviane. Nel processo che ne seguì furono in otto ad essere condannati a 25 anni di carcere.

Da questo episodio Miriam Toews scrisse un libro che ora è diventato un film, ‘Women talking – Il diritto di scegliere’, diretto da Sarah Polley che ha vinto l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale. Si svolge quasi interamente in un fienile dopo che i responsabili sono stati arrestati. Quando gli altri uomini vanno a pagare la cauzione per i detenuti, in un paio di giorni le donne devono decidere tra due opzioni opposte: ‘lascia’ o ‘resta e combatti’. Perdonare insomma gli stupratori o abbandonare per sempre la colonia, scelta che le porta a confrontarsi con l’ostacolo più grande: la loro profonda fede religiosa. Il film è una discussione tra queste due opzioni, e l'unico uomo fidato nella comunità sta lì a redigere i verbali ed elencare i pro e i contro. Discuteranno di ciò che hanno vissuto, di chi sono veramente e del proprio ruolo in un mondo che consente loro solo di essere madri e serve, senza il permesso di imparare a leggere o a scrivere. 

Temi importanti quelli affrontati da Polley, tra cui la natura restrittiva della religione, le differenze generazionali di opinione e di come un trauma possa influire sull'azione. C’è chi è incinta e teme di fuggire in quelle condizioni; chi è stanca di essere usata come un oggetto; chi ha un figlio che si avvicina a un'età in cui potrebbe essere considerato pericoloso e allora dovrà lasciarlo indietro? Problemi reali che diventano una risorsa per un film che avrebbe potuto sembrare semplicemente un esercizio teatrale e che invece è un ritratto avvincente di donne sull'orlo della rivolta che non accettano la sconfitta. La decisione di andarsene è forse una conclusione scontata ma nessun passaggio viene saltato in questo dibattito socratico e a volte catartico.

Le domande - sulla natura del perdono, sulla possibilità di redenzione, sulla capacità di disimparare la violenza e sulle abitudini del pensiero patriarcale - sono enormi e complesse, gestite nell'adattamento di Polley grazie alla condivisione di valori, termini ed esperienze di un mondo culturalmente omogeneo. E nella studiata semplificazione del film c'è l'implicita comprensione che le cose nella realtà non sono mai ordinate e semplici. ‘Women Talking’ è un film che propone in modo scioccante una storia che ha bisogno di essere riportata diventando quasi un manifesto. Una storia raccontata con grande sensibilità, energia e amore per i suoi personaggi (con un cast eccellente che include Rooney Mara, Claire Foy, Jessie Buckley e Frances McDormand) dove questa piccola comunità diventa il riflesso della nostra società, del ruolo delle donne e del bisogno di liberazione dall'oppressione. E ognuno, alla fine, tragga le proprie conclusioni.