Cultura e spettacolo

Un'altra ammirevole interpretazione di Pierfrancesco Favino
3 minuti e 2 secondi di lettura
di Dario Vassallo

"Il fascismo è dolore" afferma un medico mentre stringe un corsetto spinale intorno a Salvatore Todaro che è sopravvissuto a un incidente aereo che gli ha creato problemi enormi alla spina dorsale lasciandolo dipendente dalla morfina. La moglie Rina trova conforto nel suo infortunio credendo che permetterà loro di avere insieme una vita tranquilla e pacifica ma non sarà così dal momento che il marito assumerà nel 1940 il controllo del sottomarino Cappellini incaricato di partecipare alla Battaglia dell'Atlantico.

Inizia in questo modo ‘Comandante’ di Edoardo De Angelis che ha inaugurato l’ottantesima Mostra di Venezia raccontando un episodio pochissimo conosciuto della Seconda guerra mondiale. Perché superato lo stretto di Gibilterra nel buio di una notte davanti al sottomarino si profilerà la sagoma di un mercantile che viaggia a luci spente, il Kabalo, di nazionalità belga (e dunque teoricamente neutrale anche se in realtà trasporta materiale bellico inglese) che apre improvvisamente il fuoco contro l'equipaggio italiano. Dopo una breve ma violenta battaglia nella quale affonda il mercantile a colpi di cannone Todaro prende una decisione destinata a fare Storia: salvare i 26 naufraghi belgi condannati ad affogare in mezzo all’oceano per sbarcarli nel porto sicuro più vicino come previsto dalla legge del mare. Per accoglierli a bordo sarà costretto a navigare in emersione per un paio di giorni, rendendosi visibile alle forze nemiche e mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini. “Perché noi – dirà alla fine al capitano del Kabalo che gli chiede ragione del suo gesto – siamo italiani”.

Dunque chi è davvero forte? E cosa vuol dire essere italiani? In fondo il film gira intorno a questi due interrogativi mettendo sul piatto un energico richiamo all’esigenza di anteporre i valori dell’etica e della solidarietà umana alla logica brutale dei protocolli militari. D’altronde è la legge del mare anche se qualcuno di questi tempi se lo dimentica. Pur trovando poco spazio per la sottigliezza e ancor meno interesse per le complesse sfumature morali, De Angelis riesce comunque qua e là a strappare una certa tensione da questa missione coraggiosa e temeraria facendo girare la sua macchina da presa in ambienti sempre angusti mentre i due gruppi, diventati da nemici a compagni di bordo, navigano su terreni conditi purtroppo da troppi luoghi comuni dando l’idea di un film pensato per far sentire bene gli italiani nell'essere italiani – con la pasta, le canzoni sentimentali cantate a suon di mandolino e i ruoli di genere fortemente delineatati – e allo stesso tempo spiegare loro come essere buoni italiani, e cioè salvando le persone in mare e non seguendo ciecamente gli ordini.

Un film dunque che sarà intrinsecamente migliore per gli spettatori che già condividono questo orgoglio e possono situarsi all'interno di un quadro di riferimento ben definito. Ciò non vuol dire che ‘Comandante’ sia solo un film d'epoca patriottico o sciovinista, anche se a volte è un po' entrambe le cose. Il messaggio che De Angelis sembra volerci trasmettere, se pure immerso in un surplus di retorica, è quello di un umanesimo universale aiutato dalla consueta ammirevole prova d’attore di Pierfrancesco Favino che disegna la figura di un guerriero romantico e triste con il cuore di un poeta e una forte qualità civile di introspezione. Ma mentre ‘Comandante’ sembra progettato per far sentire bene il pubblico italiano con se stesso e la propria storia (per carità, non c’è niente di male), le possibilità che una produzione di questo tipo (costata 15 milioni di euro) possa essere apprezzata anche da un pubblico internazionale, cosa di cui il nostro cinema in questo momento avrebbe un fortissimo bisogno, mi sembrano davvero molto limitate.