Cultura e spettacolo

Ha vinto il premio per la sceneggiatura al Festival di Cannes dell'anno scorso
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di Dario Vassallo

Film dopo film, il giapponese Kore-eda Hirokazu ha dimostrato di essere uno dei registi più umanistici del cinema contemporaneo, incline a vedere il meglio nelle persone, e soprattutto nei bambini. Nessuno come lui sa fare film su famiglie, sia che si tratti di consanguinei o di gruppi improvvisati messi insieme dalle circostanze o dal bisogno. Ciò che lo rende unico è la precisione con cui affronta le relazioni delle persone senza perdere di vista la connessione sociale con le realtà che frequentano e in cui vivono. I suoi sono drammi profondamente umani, spesso accostati ad un fallimento ma raccontati con leggerezza ed empatia. È quanto accade anche ne ‘L’innocenza’ che l’anno scorso al Festival di Cannes ha vinto il premio della sceneggiatura.

Tornato in Giappone dopo aver diretto due lungometraggi all'estero (‘Le verità’ in Francia e ‘Le buone stelle’ in Corea), il vincitore della Palma d'oro 2018 (‘Un affare di famiglia’) apre il suo ultimo film con un edificio in fiamme: un "bar per hostess" frequentato da uomini soli che cercano compagnia femminile mentre il giovane Minato lo guarda dal balcone della propria casa. Kore-eda tornerà su questa scena tre volte, ripiegando ogni volta la narrazione su se stessa da un'angolazione diversa. Da tempo Minato mostra alla madre single uno strano comportamento. Incalzato dalla donna afferma che il suo maestro, il signor Hori, lo ha colpito dopo averlo insultato dicendogli anche che aveva il cervello di un maiale. Quando la madre si reca a scuola per chiedere spiegazioni è scioccata da quanto sia ambivalente il comportamento della preside e degli altri docenti. Nella seconda parte del film la prospettiva si sposta su quella del presunto colpevole Hori a partire dal giorno dell'edificio in fiamme e scopriamo che Minato non sta dicendo la verità. Non sappiamo perché, ma il punto di vista dell'insegnante spiega invece il motivo del comportamento dei dirigenti scolastici. Infine, nella terza parte dove ogni cosa trova la sua giusta dimensione Kore-eda riavvolge e ripete le cose ancora una volta concentrandosi su Minato e sulla sua relazione con il compagno Yori, vittima di bullismo a scuola, nei confronti del quale prova un affettuoso sentimento che non sa come gestire.

Con una struttura di questo tipo il pensiero va ovviamente a ‘Rashomon’ di Akira Kurosawa dove ognuno dei personaggi forniva versioni soggettive, alternative e contraddittorie di uno stesso incidente. Anche in questo caso gli eventi in sé non cambiano, cambia solo la prospettiva perché Kore-eda dimostra quanto sia facile saltare a false conclusioni su fatti e persone. Insomma ci sfida con complessità in questo dramma su bullismo, omofobia, disfunzioni familiari e rispetto acritico per l'autorità imperfetta nel quale tutti lavorano insieme per creare un mostro di ingiustizia. Qui ritroviamo molti dei temi del regista giapponese - la perdita, l'isolamento, la natura sfuggente della felicità, le famiglie imperfette - visti attraverso una multi-prospettiva. Incoraggiato da una delicata partitura di Ryuichi Sakamoto, l’ultima scritta prima di morire, ‘L’innocenza’ è un melodramma denso e avvolgente che si sviluppa a spirale verso la sua idea centrale di bambini incompresi alla mercé di un mondo adulto reazionario. Con una malinconia di fondo trafitta dalla toccante rappresentazione del conforto che può dare un’amicizia.