Cultura e spettacolo

Al Festival di Cannes ha vinto il premio per la migliore regia
3 minuti e 12 secondi di lettura
di Dario Vassallo

L'opera del portoghese Miguel Gomes è sempre stata caratterizzata da un gioco tra i generi, qualcosa a cavallo tra documentario e finzione e tra revisione storica ed estetica della distanza, tutte caratteristiche che ritroviamo in ‘Gran tour’ che al Festival di Cannes ha vinto il premio per la migliore regia. Il titolo fa riferimento al viaggio che a partire dal diciottesimo secolo molti giovani dell'aristocrazia europea raggiunta la maggiore età compivano in Italia accompagnati da un tutore alla scoperta delle grandi opere della storia dell'arte: un itinerario di iniziazione al gusto e un ricongiungimento con il passato.

Un uomo in fuga e la fidanzata che lo insegue

Gomes riprende questo tema raccontando la curiosa storia di Edward, un funzionario del governo britannico insediato a Rangoon, che nel 1918 mentre aspetta che la fidanzata Molly arrivi da Londra per sposarla si tira indietro e salta sulla prima nave per Singapore dove riceve un telegramma della donna che in qualche modo lo ha rintracciato e si dice in viaggio per raggiungerlo. Inizia così il loro grand tour, con Edward in fuga da un paese all'altro e Molly sempre un passo indietro in un itinerario che attraversa Thailandia, Vietnam, Filippine, Giappone e Cina dove prima seguiamo lui che vive avventure di ogni genere, dal deragliamento del treno in cui viaggiava a una serie di misteriosi incontri nel cuore della giungla e poi lei che trova segni del suo soggiorno a Singapore, Bangkok, Saigon, fino a raggiungere Shanghai. Giunta nel cuore della Cina, continua il suo viaggio risalendo un fiume verso la meta di un incontro impossibile.

Un uomo con una pianta in mano

Un mix di vecchia Hollywood, effetti teatrali e documentario 

Tutto questo come nella maggior parte dei film di Gomes si svolge in uno strano e originale mix di modalità che unisce in sé il glamour della vecchia Hollywood, effetti teatrali ed elementi di documentario in forma di diario di viaggio con le scene che coinvolgono i personaggi girate in studio intrecciate a riprese contemporanee delle location in questione che mostrano ad esempio senza che il regista si faccia alcun problema la super contemporanea Oriental Pearl Tower di Shanghai o automobili e moto moderne giocando tra un mitico passato coloniale e un presente filmato quasi come una cronaca turistica. Gomes realizza ‘Grand Tour’ catturando alcuni paesaggi asiatici attuali ma quello che gli interessa sono le rappresentazioni e le tradizioni mitiche delle diverse comunità: marionette, ombre cinesi, costumi e canti malinconici che attraversano una geografia in cui ciò che è rappresentato dialoga con il cinema stesso come spazio di nuove rappresentazioni.

E' un viaggio sia fisico che mentale

Il film combina due tavolozze (al bianco e nero si alterna il colore), due periodi (passato e presente) e due storie i cui protagonisti sono opposti per temperamento. Qui non interessa lo spostamento fisico ma la possibilità di contemplare il viaggio come abbandono e recupero di un mondo che può prendere vita solo come fantasia. Un viaggio che è sia fisico attraverso l'attuale geografia del sud-est asiatico sia mentale tramite un immaginario situato tra l'Indocina e la Cina coloniale che regala un mix tra una grande storia d'avventura e la storia triste di un amore impossibile. Questo è Gomes: un archeologo innamorato del tempo e degli spazi che troviamo intrecciati senza un rapporto di continuità creando un magma di luoghi ed epoche che pur essendo disarticolato non cessa di avere coerenza con l'apparato formale del film. Un bellissimo dialogo tra il cinema delle origini e il mondo contemporaneo ma anche tra gli strumenti del cinema primitivo e le ibridazioni del cinema odierno che si fa strada con libertà e audacia. Docufiction giocosa travestita da esplorazione etnografica che disegna un sogno romantico che può essere vissuto solo sotto forma di messa in scena da consegnare allo schermo: cinema in bianco e nero che sogna a colori, cinema del passato che sogna il futuro, cinema favolista che sogna la realtà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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