Ogni fan di Bob Dylan, ma in generale chiunque si interessi di storia del rock, conosce più o meno bene i fatti che il regista James Mangold racconta in ‘A complete unknown’, ovvero come un giovane musicista nato in una piccola città del Minnesota si affermò rapidamente sulla scena folk newyorkese, diventando in un paio d'anni l'idolo di tutti i "liberal" degli Stati Uniti grazie a una manciata di canzoni che segnarono la loro epoca (Blowin' In The Wind, A Hard Rain's a-Gonna Fall, The Times They are a-Changing, solo per citarne alcune) e quindi una sorta di portavoce del movimento per i diritti civili. Prima di scandalizzare tutti coloro che lo adoravano abbandonando la sua posizione "politica" per virare in maniera decisa verso il rock in particolare durante un concerto divenuto leggendario, quello del Newport Folk Festival del 1965: un'esibizione provocatoria e incendiaria che gli valse l'odio più o meno tenace di tutta la sinistra benpensante ma cui seguì uno degli album più importanti della storia della musica degli ultimi sessant’anni, Highway 61 Revisited.
Non è un film biografico
In un certo senso ‘A complete unknown’, che ha ottenuto otto nomination agli Oscar, non è un film biografico, non adotta quasi nessuno dei suoi codici narrativi scegliendo piuttosto la forma del "film storico", concentrandosi su un arco di tempo estremamente breve, tra l'arrivo di Dylan a New York, con la prima visita al suo idolo Woody Guthrie nell'ospedale in cui è ricoverato per la salute cagionevole dove conosce il già famoso cantante Pete Seeger la cui amicizia sarà decisiva per la carriera, e la partenza in moto dal Festival di Newport dove lascia dietro di sé soltanto rovine: un pubblico passato dall'adulazione assoluta all'odio e due storie d'amore distrutte, quella con la prima musa Susan Rotolo (ribattezzata nel film Sylvie Russo perché non ha dato il permesso di utilizzare il suo vero nome) e con la storica compagna Joan Baez.
![Timothee Chalamet e Monica Barbaro in una scena di 'A complete unknown' Un uomo e una donna cantano](/images/unknown2p45586.jpg)
Traccia l'evoluzione della controcultura americana anni '60
Il film naturalmente è pensato per solleticare i boomer con la sua rappresentazione amorevole del passato e la riverenza per gli eroi musicali della loro giovinezza ma non gira a vuoto: contrapponendo la scena folk del Greenwich Village di New York impersonata da Pete Seeger alla controcultura emergente che Dylan sarebbe arrivato a incarnare, traccia anche l'evoluzione di questa controcultura americana dalla forma addomesticata e incentrata sulle arti degli anni '50 alla più esplicitamente radicale del decennio successivo.
Un'ottima interpretazione di Timothee Chalamet
Un altro punto di merito del film è che aggira completamente l'aspetto più stanco del genere biografico musicale: il tormento emotivo dell'artista. Il Dylan di Timothee Chalamet, che fa un ottimo lavoro interpretativo senza ricorrere a nessuna smorfia o cercare troppo di ottenere compassione, non è torturato, non è un mostro, non impara una profonda lezione che ci faccia capire come il suo successo artistico sia il risultato di un trionfo morale. È semplicemente difficile, arrogante, contento di fare quello che fa e disimpegnato nell'affrontare le conseguenze. Un musicista che si è reinventato più volte di quante si possano contare e che è sempre stato sfuggente tra fatti e finzione, lasciando che le leggende del suo genio si gonfiassero.
La storia di un artista iconoclasta
‘A complete unknown’ riguarda in definitiva tutte le variabili che plasmano e deformano la creatività lasciandoci percepire come la musica sia sempre stata il modo migliore per comprendere Dylan come persona non esagerando mai su come sia diventato un poeta della sua generazione (cui non a caso alcuni decenni dopo verrà assegnato il Nobel per la letteratura) ma semplicemente confidando che gli spettatori uniscano da soli i puntini della sua vita. L'uomo era, è e sarà sempre un iconoclasta. Qui otteniamo informazioni su come gli iconoclasti cambiano il mondo e perché è importante che lo facciano anche se il film su Dylan è curiosamente ambivalente. Lo ammira per il genio della sua musica ma è scettico sulla persona, il che sembra appropriato per un film biografico su un artista enigmatico come lui. Un biopic non può mai spiegare completamente il suo soggetto storico ma come accade in questo caso può catturare una scheggia dell'essenza di un artista e aiutarci a comprendere meglio lui e il mondo che ha creato, in questo caso un uomo che è andato alla deriva nella New York degli anni Sessanta cambiando poi la musica per sempre.
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