Come è difficile giudicare Marco Bucci, il sindaco manager, u sindacu cu’cria! Come è difficile dargli la pagella, esercizio che noi vecchi cronisti abbiamo fatto per decenni con i suoi predecessori, almeno dal democristiano per bene Giancarlo Piombino, al socialista tranviere ultrapopolare Fulvio Cerofolini, a quel signore repubblicano Cesare Campart, passando per lo squillo del socialdemocratico Romano Merlo, per il PCI, PSD, PD Claudio Burlando, per il giudice Adriano Sansa, per il superavvocato laburista di sinistra, avvocato Beppe Pericu, per la zarina Marta Vincenzi, che più comunista di lei non c’era e, infine, per il marchese rosso, Marco Doria che più nobile e colorato di lui pure non c’era.
E’ tanto difficile per le ragioni principali che, a differenza dei suoi predecessori, Bucci uno stigma politico non ce l’aveva e non ce l’ha, salvo essere estratto dall’urna dalla Destra cavalcante e trionfante che si è imposta a Genova e in Liguria con una capriola storica totale e inattesa, da Giovanni Toti in giù, conquistando l’intero arcobaleno della nostra bemeamata regione.
Potevano sceglierlo gli altri e non ci si sarebbe scandalizzati, ma non lo hanno fatto, incapaci da un decennio di trovare candidati ed è questa la ragion per la quale alla seconda domanda sul sindaco di oggi, e cioè se sarà confermato, la risposta è molto più facile che a quella di che voto dargli in pagella.
Ma, esaurita la premessa sul fatto che Marco Bucci è entrato (trionfalmente) a Tursi quasi cinque anni fa “senza tituli” politici, ma solo con la sua garra da manager del Micighan, venuto da Nervi, “digitalizzato sugli Erzelli, come si fa a dire che è un buon sindaco?
Non credo che vada scissa la sua carica istituzionale a Tursi con il suo ruolo di supercommissario, assunta fortunatamente per la città, nella vicenda Morandi e poi estesa per stile, impeto e convinzione un po’ a tutta la sua azione di leader comunale nel senso di dire che una cosa è avere bene gestito quell’emergenza, ma poi il resto è una cosa diversa.
Per una volta non sono d’accordo con il mio amico fraterno Mario Paternostro. Bucci è un unicum, il sindaco e il commissario, senza il quale il Morandi e la sua tragedia non veniva cucita così bene e così rapidamente, sopratutto nella fase in cui era solo sindaco con le macerie fumanti e le vie alternative da reinnestare in un battibaleno e gli sventurati del sotto ponte da salvare subito. Quello era un lavoro da sindaco, da signor sindaco anzi.
I quattro anni e mezzo del suo regno sono partiti con quella tragedia e con la storica mareggiata dell’ottobre 2018: emergenza pura alla quale si è aggiunta ancora in corsa delle prime opere l’emergenza al quadrato, la pandemia che è il più grande sconquasso mai affrontato dalle istituzioni, da quelle di governo a quelle delle grandi e piccole città. Una emergenza che non è mai finita.
Ma vi ricordate nel primo lock down, quello totale della città chiusa e morta, dove era ogni pomeriggio alle 18 Bucci? In Regione con Toti, gli esperti di Sanità, i virologi, a tenere la barra nel periodo più buio. Fino a pochi mesi è stato così e intanto la città semi chiusa e del tutto chiusa, la sua vision (termine orribile che lui usava e usa) doveva continuare a essere proiettata, la soluzione alla cancrena dei problemi marciti da decenni trovata, la fuga degli abitanti fermata, i trasporti (contingentati) migliorati, la rumenta e lo scandalo di Scarpino finalmente affrontati, lo sviluppo della città nel suo complesso avviato a quelle soluzioni che la capriola politica delle rocche forti rosse conquistate dalla Destra, poteva suggerire e spingere.
In questo spazio stretto di tempi e di modi per una nuova politica (certo si chiama così ogni atto compiuto anche da un sindaco a politico, a partitico, perfino schifato da quella politica) va giudicato il sindaco Marco Bucci, manager venuto da lontano, ma genovese, nato a Nervi e abitante di Carignano.
Alcune cose sono andate, altre no.
Bene gli urli alla mattina per svegliare le sonnolenze burocratiche di Tursi, meno bene le ruvidezze anche pesanti rivolte un po’ a tutti gli interlocutori, non in linea con le sue idee e i suoi programmi. Bene le spinte per il Waterfront di Levante che se no era ancora lì , per l’Hennebique che se no era meglio demolirlo, bene il riempimento del buco orrendo davanti a san Martino, bene l’Euroflora (con tutti i suoi effetti anche negativi), bene la miriade di interventi sulla pelle della città, da quelli di ornamento come le aiuole in Viale Brigate Partigiane, dopo i decenni di cantiere, a quelli nei parchi e giardini ( vedi Villa Gruber), in cui si sta spendendo quel caterpillar dell’assessore Piciocchi, bene anche la EsseLunga a Albaro e a San Benigno e si incazzino pure i commercianti, ma il mondo avanza così, non male le periferie, a incominciare da quella sepolta sotto il ponte demolito e ricostruito, continuando per Cornigliano che stanno rifacendo ca capo a dodici. Male la cultura, un po’ straccionata e non solo nella trama dei jeans cui è dedicata la perfomance di questi giorni.
Manca il progetto di città, mancano le grandi infrastrutture, i metrò in Valbisagno (o la funivia, seggiovia), i nuovi ospedali che sono come l’Araba fenice a Carignano, a Erzelli, nel Ponente abbandonato, lo scatto delle periferie dove, però, la Diga di Begato viene giù?
Non so di tutto questo quanto va sulla schiena piegata di Marco Bucci e del suo collare che speriamo gli tolgano presto.
Che ci azzecca veramente il sindaco con molte di queste cose? In realtà ci azzecca la politica nel senso strategico del termine, che è fare gli affari della polis, della città, concordando le azioni con tutto il sistema partitico-politico-amministrativo.
Ecco dove a Bucci non darei la sufficienza. Questa politica gli è estranea, non sta nel suo Dna da Michigan, da stelle e strisce, da bandiera da impugnare e correre insieme a conquistare la collina.
E la mancanza di questa politica significa buchi di dialogo con la città, ristrettezza di scelte per i ruoli apicali, decisioni “ummo a ummo” e non ragionate con i migliori, spesso difficoltà a accettare critiche e vision diverse, insomma mancanza nelle relazioni in senso largo, compresi noi comunicatori.
Oddio non è che l’opposizione evanescente e cristallizzata di questi tempi l’abbia mai aiutato, nè la qualità della sua giunta e della sua maggioranza.
Ma questo è quanto passa il convento di questi tempi, nei quali come abbiamo anticipato, quel sistema politico-partitico che supportava i sindaci non esiste più e esistono lo leadership da bruciare presto, i parvenù, che vincono il biglietto della lotteria per un posto al sole per grazia ricevuta e difficilmente per meriti. se non di essere vicino al vicino del sindacu cu’ cria.
Bucci, esaminato con gli occhi di chi dava le vecchie pagelle ai vecchi sindaci, che hanno fatto la storia e la non storia di Genova negli ultimi 50 anni, è una specie di “incidente”. Se farà il secondo mandato, come parrebbe molto ipotizzabile salvo sorprese, capiremo molte cose in un tempo che ci auguriamo più sereno. Ma attenzione, il secondo mandato è sempre più difficile del primo.
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Il secondo tempo di Bucci, la politica e le sue eccezioni
Verso le elezioni con il primo cittadino intenzionato a ricandidarsi
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