Accogliamo con favore l'annuncio dato da Graziano Delrio alla Spezia. Il Ministro per le Infrastrutture ha dichiarato che il decreto di riordino della governance dei porti è pronto e presto verrà presentato al Consiglio dei Ministri. Si tratta di una buona notizia per il tema del riordino della portualità italiana, all'interno del quale in questi giorni si è sviluppata una discussione proficua sulle concessioni portuali, centrando uno dei nodi irrisolti in questo ambito. Discussione interessante per almeno due ragioni:
1) siamo di fronte ad un evidente buco normativo che si trascina dalla data di nascita della Legge 84/94 in assenza del decreto attuativo che doveva essere adottato ai sensi dell’articolo 18 ma che non ha mai visto la luce, ingenerando un governo disomogeneo, contraddittorio e spesso in aperta contraddizione con i principi comunitari di questo tema così delicato e strategico;
2) le concessioni, che rappresentano attualmente la seconda fonte di entrate correnti del settore portuale italiano, pari al 30% delle entrate annuali delle diverse Autorità Portuali, costituiscono un potente strumento di governo, finora sfruttato decisamente male, di un bene pubblico così prezioso come il demanio marittimo, con ricadute decisive su temi come la libera concorrenza e l’apertura dei nostri sistemi portuali, il bilancio delle Autorità Portuali, le condizioni di vita, di lavoro e ambientali, nonché sul livello di dotazioni infrastrutturali dei nostri porti.
Questa discussione ha ricadute immediate su due differenti piani: uno è quello più generale della riforma della portualità italiana, avviata dal Governo Renzi nello Sblocca Italia, e che ora deve intervenire normativamente sul tema delle concessioni se non altro per adeguare la nostra legislazione al dettato europeo e poi per garantire le ragioni della competitività dei nostri porti.
L’altro piano è quello delle scelte puntuali che i nostri porti, a partire da quello di Genova, devono affrontare di fronte a richieste di rinnovo delle concessioni che cadono in una fase di incertezza e di perdurante vuoto normativo.
Il dibattito se vuole essere utile deve abbracciare l’interezza di questo problema: modalità di assegnazione delle aree e valutazione delle diverse offerte, durata delle concessioni, una generale revisione del metodo di calcolo dei canoni demaniali, oggi legato di fatto a soli criteri patrimoniali, e l’introduzioni di vincoli che assicurino il perseguimento non solo dei legittimi interessi del terminalista ma anche degli obiettivi sociali dell’Autorità Portuale.
Il punto di fondo, che vale sia per l’intervento normativo nazionale, sia per i rinnovi richiesti, deve essere quello di recepire la sostanza dei principi comunitari oggi del resto fatti propri anche da molta giurisprudenza nazionale (da ultimo il TAR della Lombardia con sentenza n.2401/2014), principi chiaramente fissati dagli articoli 49, 56 e 106 del Trattato Fondativo dell’Unione Europea e ribaditi da tutte le più recenti direttive comunitarie: principi di libertà di stabilimento, di libertà di prestazione dei servizi, di parità di trattamento, di trasparenza e di non discriminazione.
Senza avere la pretesa di esaurire un tema così ampio e così controverso si può tuttavia ragionare su alcuni spunti.
1) La via maestra indicata dall’Europa per l’assegnazione di concessioni è quella dell’evidenza pubblica tramite gara, via che permette di garantire la concorrenza e di massimizzare nel confronto tra offerte diverse l’interesse pubblico. Più delicato il tema dei rinnovi e delle proroghe in favore dello stesso concessionario. Anche su questo punto la giurisprudenza italiana incomincia a porre il tema delle evidenze pubbliche in coerenza con la norma europea (Consiglio di Stato, sez VI, 30 settembre 2010, Tar Liguria, sez. I, 24 aprile 2013). Quantomeno occorre porsi il problema di limitare i rinnovi automatici, sia subordinandoli ai casi in cui intervengano effettivamente nuovi investimenti in impianti, strutture e/o opere finalizzati allo sviluppo di traffici, sia agendo sul lato della durata, intanto perché questa sia sempre commisurata al programma di investimenti e poi perché comunque sia ben delimitata nel tempo, prevedendo ad esempio che il rinnovo o la proroga non siano superiore ad un terzo della durata stabilita dalla concessione originaria.
Occorre poi evitare il rischio di azioni speculative. Anche nell'ipotesi di sostituzione nel corso del rapporto concessorio di un soggetto ad un altro nella concreta gestione del bene demaniale non si possono eludere i principi comunitari. Sia che questo avvenga nella forma del sub contratto, sia che avvenga nella forma della successione nel rapporto concessorio, mutando in corso d'opera la compagine sociale in modo sostanziale, per garantire apertura, concorrenza e soprattutto trasparenza si deve fare una procedura di evidenza pubblica (TAR Liguria, sez. II, n. 1799/2011).
Semmai allo scopo di non scoraggiare o rallentare gli investimenti è necessario garantire un principio sacrosanto, del resto già indicato nel Piano della Portualita' e della Logistica, e cioè che chi subentra in concessione a seguito di gara remuneri con un adeguato indennizzo il concessionario uscente per gli oneri sostenuti negli investimenti.
2) La durata delle concessioni è un tema delicatissimo, tanto più in una situazione come la nostra di transizione da un ordinamento ad un altro. Sotto questo profilo nell'immediato la proposta di Duci appare più che ragionevole (concessioni trentennali) per non immobilizzare sine die un bene pubblico in una fase di totale incertezza normativa come questa, tenuto conto che oggi la media della durata delle concessioni in Italia oscilla tra i venti e i trent'anni. E' comunque sempre necessario commisurare la durata della concessione al programma di investimenti che il concessionario intende realizzare con risorse a proprio carico. Sarà importante prevedere tanto nelle norme nazionali che in quelle regolamentari opportuni strumenti di verifica, ad esempio attraverso l'indicazione di un termine, almeno biennale, per verificare la sussistenza dei presupposti che hanno portato al rilascio del titolo, la rispondenza della qualità del servizio agli utenti, gli investimenti realizzati in base al programma depositato e il rispetto di eventuali altre clausole sociali. In caso di mancato rispetto di questi vincoli le nuove norme dovranno dare corpo a specifiche sanzioni e circostanziare i motivi di decadenza o revoca, superando le regole più generiche oggi previste dal Codice della Navigazione, che di fatto hanno portato a non revocare mai in Italia nessuna concessione.
3) Infine altri due temi su cui portare una profonda innovazione sono il canone e le clausole così dette sociali. Oggi il canone è calcolato esclusivamente sulla base di valutazioni di tipo patrimoniale, consentendo sconti in relazione al livello di investimenti, al tipo di attività, alla qualità delle infrastrutture presenti o da realizzare. Manca completamente nella determinazione del canone la presenza di fattori di produttività, ad esempio prevedendo la possibilità di strutturare il canone con una componente variabile tesa a premiare gli incrementi di efficienza degli operatori in termini di aumenti di volumi di traffico, di occupazione, di esternalità positive per l'ambiente.
Analogamente le concessioni in una logica da XXI secolo e non più ottocentesca possono diventare lo strumento non solo per recepire o meno il Piano d'impresa del terminalista, ma per fissare alcuni elementi fondamentali di strategia pubblica come il livello minimo di occupazione di quella banchina (ad esempio prevedendo un rapporto fisso occupati / superficie) o alcuni aspetti ambientali come ad esempio il limite massimo delle emissioni o l'utilizzo di particolari tecnologie come il cold ironing o ancora l'effettuazione di determinati tipi di servizi ad alto valore aggiunto in loco, sostenendo lo sviluppo dell'indotto. E' auspicabile che questi nuovi aspetti che possono consentire di riequilibrare il rapporto tra soggetto pubblico e terminalista, oggi decisamente sbilanciato a favore di quest'ultimo, siano inseriti nel decreto tanto atteso. Ma nulla, proprio nulla, vieta che si affidi alla contrattazione tra Autorità pubblica e terminalista richiedente il rinnovo la possibilità di accogliere queste innovazioni saldando i modo più virtuoso e più avanzato interesse pubblico e legittimo interesse privato.
In conclusione auspichiamo che la discussione sviluppatasi a Genova in queste settimane possa dimostrarsi utile per mettere fine alla discutibile prassi delle proroghe ultradecennali delle concessioni portuali e ci auguriamo che le indicazioni emerse possano essere recepite nel regolamento di cui ha parlato il Ministro Graziano Delrio nel corso della sua visita alla Spezia.
*Lorenzo Basso, X Commissione Attività Produttive Camera Deputati
**Giovanni Lunardon, Commissione Attività Produttive Regione Liguria
porti e logistica
Concessioni portuali, stop alla prassi delle proroghe ultradecennali
A seguito del dibattito sul rinnovo delle concessioni portuali
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