cultura

Dopo la sfida sui dialetti lanciata dallo spezzino Cavallini
1 minuto e 36 secondi di lettura
Devo ammettere che non posso non convenire su varie affermazioni dello spezzino Piergiorgio Cavallini, riportate sul sito di Primocanale. Comincio dalla più drammatica: "Il dialetto è arrivato vicino alla scomparsa".

Temo che purtroppo possa essere così. Io ho insegnato per nove anni all’università del Polo Marconi di La Spezia e, appassionato di parlate, ho cercato ripetutamente (anche fermando sconosciuti per la strada...) qualcuno che parlasse lo spezzino: le risposte più positive erano del tipo: «Mi ricordo che lo parlava mia nonna».

Solo recentissimamente ho incontrato un poeta, già avanti con gli anni, che scrive belle poesie in spezzino. Ho però scoperto varie enclave (ad esempio penso a Biassa, frazione di La Spezia) dove si trovano parlate molto vicine al ceppo genovese di Genova e dintorni.

Passo ora all’affermazione secondo cui lo spezzino non è “una lingua letteraria come il genovese”. Eh già il genovese di Genova ha una storia quasi millenaria che parte dal XII secolo con testi pre-letterari per esplodere con l’Anonimo genovese tra il 1291 e il 1311, grosso modo il periodo in cui Dante scriveva la Divina Commedia. Da allora abbiamo una letteratura scritta ininterrotta.

È difficile sostenere che il genovese non sia adatto per scrivere poesie. Certo ha molte vocali lunghe, ha il suono turbato della o e della u, ma non lo definirei aspro: addolcisce piazza in “ciassa”, Gian Battista in “Baciccia”, ma gli esempi sono moltissimi.

Va però riconosciuto che lo spezzino, che si avvicina di più all’italiano con le molte o aperte che in genovese si pronunciano u, ha la sua gradevolissima musicalità. Concludo congratulandomi con lo sforzo che si sta facendo per non perdere la parlata spezzina e tutta la cultura che ha saputo esprimere.

Un cordiale “in bocca al lupo”.
Franco Bampi