"Automazione spinta. Così aumenteremo la produttività del 25 per cento". Parole e musica di Luigi Negri, uno dei principali terminalisti italiani, che disegna in questo modo il futuro di Calata Bettolo e del Sech. Il progresso non si può e non si deve fermare, ma la prospettiva aperta da Negri nei giorni scorsi, durante un convegno a Cernobbio, merita di essere approfondita. Con onestà intellettuale l'imprenditore - in un articolo del Secolo XIX - rileva che l'adeguamento tecnologico comporterà un drastico calo della forza lavoro necessaria, aggiungendo: "Ho ben presente il problema sociale".
È un film già visto nella realtà economico-industriale planetaria, pesantemente condizionata, sul versante occupazionale, dall'inarrestabile avanzare dell'alta tecnologia, che in parte ha trasformato e in parte "ucciso" i lavoratori. Nello specifico, tuttavia, il destino ineluttabile del cambiamento - che già ha fatto drizzare le antenne della Culmv - non è detto che debba per forza provocare l'effetto collaterale indesiderato. Più che mai, però, serve un disegno strategico, che chiama in causa prioritariamente la politica.
Se ci si ferma alle affermazioni di Negri, il futuro del porto di Genova, e più o meno rapidamente degli altri scali italiani, è quello di aumentare produttività e container movimentati e di diminuire il numero degli occupati. Alla città che cosa ne verrebbe, se non un maggiore disagio, a fronte del vantaggio di pochi, addirittura pochissimi? Più traffici e meno lavoro non è un'equazione vincente. Ma qui entra in ballo la questione che nelle ultime settimane ha tenuto banco, vale a dire il prolungamento delle concessioni ai terminalisti mentre stanno per entrare in vigore nuove regole, imposte dalla riforma della portualita'. Il senatore Maurizio Rossi ne ha fatto una battaglia, chiedendo a gran voce che le concessioni siano assegnate dopo gare europee che garantiscano canoni adeguati e inserendo fra i criteri dei bandi anche una sorta di clausola occupazionale.
Difficile dar torto al parlamentare ligure, che paventa, altrimenti, il pericolo di vedere ingessato per i prossimi 30-50 anni il sistema portuale italiano - quello formato da Savona, Genova e Spezia in primis - con scelte che tutelano soltanto i terminalisti. I quali, non a caso, sono insorti contro Rossi e hanno mandato in avanscoperta l'imprenditore Augusto Cosulich a perorare la causa di Sandro Biasotti come nuovo presidente dell'Autorita' portuale genovese. Perché "è uno di noi".
Sia l'uscita di Cosulich sia l'annuncio di Negri, però, dimostrano come il problema sia molto più delicato da maneggiare di quanto si immagini. E allora torniamo al ruolo della politica. C'è un modo per coniugare innovazione, corretta gestione di un patrimonio pubblico come le concessioni e la salvaguardia, con sviluppo futuro, dell'occupazione? C'è. Bisognerebbe semplicemente, si fa per dire, rendere concreto un disegno logistico del quale si parla ormai da anni e che prevede l'utilizzo degli spazi fronte mare anche per insediamenti produttivi.
Operativamente il "gioco" diventerebbe questo: le merci arrivano, vanno nelle aziende per essere lavorate, e ripartono verso la loro destinazione finale. Si tratta, cioè, di fare in Liguria - e nel resto d'Italia - quanto già accade in alcune aree del Paese, tipo la pianura Padana. La movimentazione avverrebbe secondo i principi di produttività e abbattimento dei costi sostenuti da Negri, ma lavorando le merci in loco ci sarebbe un recupero occupazionale, persino un aumento. Con la possibilità di gestire anche meglio il trasporto, in termini di tempo e di sostenibilità ambientale, se verranno potenziati i collegamenti ferroviari (capito il valore del Terzo Valico?) e se prenderanno piede le autostrade del mare.
Un governo che guardi davvero in avanti, allora, dovrebbe mettere in campo un piano del genere e per svilupparlo dovrebbe anche legare le concessioni portuali a questo tipo di criterio, assegnandole sulla base di investimenti che i terminalisti intenderanno fare non solo nel miglioramento delle opere a terra e nella gestione degli approdi, ma anche nell'aprire la loro attività alla lavorazione delle merci. Ma un terminalista fa un altro mestiere, potrebbe essere la banale osservazione contraria. Vero. Ma che cosa gli impedirebbe di presentarsi a una gara per le concessioni consorziato con chi gli porta in dote anche una attività manifatturiera? Il punto è stabilire se si vogliono solo prolungare delle rendite di posizione o se c'è la volontà di mettersi tutti in gioco per dare una spinta vera alla ripresa economica di questo Paese. Tertium un non datur.
porti e logistica
I terminalisti, l'automazione e le concessioni portuali
Più traffici ma meno lavoratori? Si può evitare
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