A Marco Doria la politica non serve, perché campa bene del suo. E però Marco Doria non serve alla politica, perché in questi quattro anni ha dimostrato di non saperla fare, soprattutto quando si sarebbe dovuta tradurre in una efficace azione amministrativa. Come per ogni figlio degenere, tutti rifiuteranno la paternità dell'ormai lunga fase di stallo e declino di Genova. Addebitarla al solo sindaco, e già lo stiamo vedendo, è l'esercizio più semplice. Ma anche il più vigliacco.
Doria ha le sue colpe. Una visione spesso marziana dei problemi; un procedere ondivago che ha fatto dell'indecisionismo il marchio di fabbrica sulle principali criticità (per tutte si possono citare la gestione del trasporto pubblico locale e quella dei rifiuti, leggasi Amt e Amiu); la scelta di assessori che a parte qualche eccezione (personalmente cito Bernini, Crivello e Miceli) hanno dato vita a una squadra come minimo male assortita; relazioni con le altre istituzioni-organizzazioni che, al di là della facciata, sono state e restano problematiche.
Detto ciò, tuttavia, non è che Doria possa essere considerato l'origine di tutti i mali. Farne il capro espiatorio sarebbe ingiusto nei suoi confronti, chiamerebbe fuori chi ha altrettante gravi responsabilità e, soprattutto, non gioverebbe in alcun modo alla città.
Prendiamo il Pd, il partito principale della coalizione. Tutta la novità che riesce a esprimere è quella di un ipotetico ampliamento della maggioranza per tirare a campare fino alle elezioni del prossimo anno. Intanto, però, chiederà a Doria di fare chiarezza sulla propria posizione, aspettandosi che dica chiaro e tondo che non si ricandiderà. Per la serie: il calimero è lui, cari genovesi, noi "piddini" siamo vittime come voi. "Ma mi faccia il piacere", esploderebbe il principe Antonio De Curtis, in arte Totò.
Smandrappato come mai, e ancora sotto lo choc della disfatta alle regionali, il Pd ha chiare e precise colpe se la gestione del Comune di Genova è arrivata a questo punto. Ha subito la vittoria di Doria nelle primarie municipali che furono solo una lunga e velenosa resa dei conti interna e da lì in poi ha fatto finta di adottare il sindaco-marchese, salvo pensare moltissimo ai fatti propri.
Chi voleva fare l'assessore, chi aveva qualche lobby da difendere, chi cercava un riposizionamento interno combattendo accanto o contro l'ex governatore Claudio Burlando, chi si guardava intorno e tentava la fortuna inseguendo un incarico di sottogoverno. La logica ispiratrice di questa politica, al netto di qualche pura e semplice cattiveria che pure c'è stata, si è rivelata saldamente ancorata al vecchio adagio italiano del "tengo famiglia".
In questo florilegio di nefandezze assortite, naturalmente è andato completamente disperso anche il più modesto barlume di attenzione alle necessità dei genovesi. La "res publica" da amministrare secondo i principi del buon padre di famiglia è stata un inutile e persino odioso orpello, qualcosa di utile per le solite promesse da marinaio, discussioni accademiche, comparsate televisive, dibattiti pubblici.
Un grande vuoto pneumatico che ha inghiottito ogni parvenza di concretezza e qualsiasi tentativo di fare delle scelte coraggiose, anche a costo di azzeccarne qualcuna e sbagliarne altre. L'immobilismo è stato il segno distintivo dell'amministrazione civica genovese e della sua disarticolata maggioranza, con ciliegine sulla torta quali le contraddizioni e le incoerenze della stessa lista che porta il nome di Doria.
Non ci voleva un genio per capire che prima o poi la situazione sarebbe precipitata. Prima il voto sulle riduzioni dell'Imu e poi quelli su Galliera e antismog sono lì plasticamente a dimostrare la dissoluzione di qualcosa che in realtà non è mai davvero nato.
Autocitarsi è certo inelegante, ma ho ancora nelle orecchie i fischi che, ormai molti mesi fa, accolsero il mio invito a dimettersi rivolto al sindaco. I soliti sepolcri imbiancati mi tacciarono di disfattismo, di voler consegnare la città a un commissario prefettizio che avrebbe bloccato tutto per un anno, limitandosi all'ordinaria amministrazione. Dopo aver visto altro tempo trascorrere all'insegna dell'ordinario non fare, mi pare che oggi non sia garantita neppure una gestione di tipo commissariale. Inutile aggiungere altro.
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Le colpe di Doria non oscurano quelle di un Pd smandrappato
Genova ostaggio di immobilismo e faide politiche
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