In una intervista di pochi giorni fa il filosofo Massimo Cacciari spiegava come oggi , fare il sindaco, sia quasi un atto eroico. “Una cosa da pazzi. Un martirio senza fine”. L’ex sindaco di Venezia non ha torto. I sindaci sono stati svuotati dei loro poteri che ormai sono assorbiti o dal governo centrale o dal governo regionale. Nonostante questo prosciugamento i sindaci continuano a essere gli unici in trincea in mezzo ai marosi della grande crisi, economica, sociale e politica.
Il trasporto pubblico è alla bancarotta e gli autobus si fermano per le strade di Genova sfiancati dall’uso e dall’età. Di chi è la colpa secondo i cittadini? Del sindaco. I pronto soccorso vanno in tilt e i pazienti restano in attesa sulle barelle per ore nelle astanterie degli ospedali. Di chi è la colpa? Del sindaco che è il garante della salute dei cittadini. I collegamenti tra Genova e Milano sono fermi agli anni del dopoguerra. Di chi è la colpa? Sempre del sindaco.
Il capro espiatorio di ogni disastro (anche quelli ambientali, le alluvioni, gli sversamenti di combustibile) è il primo cittadino. Le navi attraccate in porto con i motori accesi inquinano? Colpa del sindaco. Da quando, poi, viene eletto direttamente dal suo popolo, queste responsabilità sembrano essere ancora aumentate. Aggiungiamo che, a fronte di questi pesi, compresi i rischi penali e civili, lo stipendio è modesto, molto, ma molto al di sotto di quello di un semplice consigliere regionale senza particolari responsabilità.
Il sindaco c’entra poco con il trasporto pubblico. I bus li acquista la Regione o, almeno, così dovrebbe essere. La sanità non è materia del sindaco da quando è stata completamente trasferita alle Regioni. I collegamenti ferroviari sono materia del governo centrale e delle società ferroviarie nazionali. In porto, infine, comanda il presidente della Port Authority e il sindaco non può metterci becco.
Oggi il sindaco è solo un dispensatore di servizi sociali e un manutentore di strade o poco più. Eppure il peso politico della sua carica è tra i più forti. Perché un sindaco dovrebbe indicare la linea della politica cittadina e disegnare un’ idea della città che governa, da sviluppare negli anni del suo mandato. Un sindaco deve essere rappresentante degli interessi dei suoi concittadini, forte di un mandato diretto e quindi davvero democratico. Il sindaco è un simbolo e come tutti i simboli ha una forza intrinseca innegabile.
Detto questo, la forza di un mandato si basa sulla forza di una maggioranza che dovrebbe essersi formata al termine di mediazioni o trattative su una linea condivisa e su una idea condivisa di città. Un buon compromesso se necessario.
Il guaio di Genova è che non c’è una idea di città, non c’è nessuna condivisone e ora non c’è più una vera maggioranza. E non c’è più il tempo per un compromesso nemmeno al ribasso.
Mancano alle elezioni una decina di mesi. Se la giunta e il sindaco, la settimana che sta per cominciare, dovessero cadere, sarebbe un commissario a traghettare la città verso le elezioni. L’ipotesi viene descritta da alcuni (non tutti) come qualche cosa di terribile. Perché? La prima risposta: il commissario non può decidere quasi niente. E forse qualche cosa è stata decisa in questi ultimi mesi? Dalla situazione tragica della Amt allo sbando della raccolta della spazzatura. Niente. Chi ha detto che un commissario non ha poteri per portare a termine e forse a conclusione situazioni che si trascinano da anni senza il coraggio di decidere?
Nella storia di Genova ricordo tre commissari che non mi pare abbiano fatto danni indimenticabili. Nicio Giuliani che divenne commissario dopo i fatti di Genova del giugno 1960 e restò in carica fino al febbraio 1961, prima che Vittorio Pertusio formasse la sua seconda giunta questa volta con i socialisti (vicesindaco Paolo Macchiavelli); Giuseppe Franzé, commissario tra due giunte con sindaco Augusto Pedullà dal gennaio 1966 al luglio dello stesso anno; Vittorio Stelo dal maggio 1993 dopo Burlando al dicembre dello stesso anno quando fu eletto Adriano Sansa con l’elezione diretta.
Che danni fecero Giuliani, Franzé e Stelo?
Dunque evocare il commissario come il peggiore dei mali è una bufala, soprattutto se l’alternativa è una finta maggioranza fatta con consiglieri che escono dall’aula al momento del voto e altri, peggio, che cambiano opinione, tradendo platealmente il mandato di chi li ha eletti.
politica
Elogio del Commissario in una Genova senza maggioranza
La forza di un mandato si basa sulla forza di una maggioranza
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