Da una parte c'era Riccardo Garrone, che spingeva Vittorio Malacalza, dall'altra Giovanni Berneschi, che invece guardava anche all'ipotesi di aprire per la prima volta la presidenza di Confindustria Genova a un top manager delle ex Partecipazioni Statali. L'ipotesi era particolarmente invisa al petroliere patron del Sampdoria, in nome di un ragionamento che espresse in un incontro riservato: "Ci sono persone anche capaci, ma un conto è gestire aziende conto terzi, un altro fare l'imprenditore per davvero".
Accadde, infatti, che all'ultimo momento Finmeccanica (allora guidata da Pierfrancesco Guarguaglini) e Fincantieri (Giuseppe Bono era già al timone) cambiarono cavallo, passando dall'ingegnere di Bobbio al giovane figlio di Adriano Calvini, uno che da sempre pesa nel mondo confindustriale genovese. Le ex Partecipazioni Statali, così, si presero comunque una rivincita: niente elezione per un loro uomo, ma elezione condizionata pesantemente.
In realtà, nel mezzo ci fu il pesante intervento a gamba tesa dell'allora potente ministro delle Attività Produttive, Claudio Scajola. Entrato in rotta di collisione con Malacalza perché l'attuale maggiore azionista di Carige fece saltare il banco dell'operazione Ferrania.
Ciò che non è riuscito con Pertica è avvenuto, al giro successivo, con Giuseppe Zampini, amministratore delegato di Ansaldo Energia. Era fra i candidati alla tolda di comando di Finmeccanica, Zampini. Ma quando il ruolo venne assegnato a Giuseppe Orsi - poi finito malamente per lo scandalo degli elicotteri all'India - partì la drammatica fase della dismissione di tutto il comparto civile di Piazza Monte Grappa.
C'era la Siemens in pole position per acquisire Energia e questo avrebbe fatto dell'azienda una semplice divisione del colosso tedesco. Zampini, che già aveva miracolato Ansaldo strappandola a una fine ingloriosa quando tutti intonavano il de profundis, si mise di traverso a Orsi. Ma siccome la politica romana non sembrava ascoltare ragioni, per una volta Genova si trovò unita a difendere se stessa e il suo patrimonio industriale: Zampini alla guida di Confindustria avrebbe avuto maggiore forza per impedire lo scippo e lo scempio di Ansaldo Energia (difatti l'azienda ora va forte, con un partner strategico orientale, Shangai Electric, ed è cresciuta acquisendo un ramo dell'Alstom dopo le nozze del gruppo francese con l'americana General Electric).
Le due storie sono emblematiche di come andavano e vanno le cose in Confindustria Genova, con un gioco di chiaro-scuri che come terminale ha sempre la politica. Nazionale e locale. L'associazione eroga servizi agli iscritti - con un grado di soddisfazione variabile - ed è anche un "pensatoio" spesso apprezzato delle possibili soluzioni ai problemi della città, ma soprattutto è sempre più un luogo di relazioni. Fra gli imprenditori stessi, fra gli imprenditori e la politica, fra gli imprenditori e chiunque possa servire alla causa del profitto.
Di per sé non sarebbe un fatto negativo. Ma lo diventa quando un certo esercizio del potere si misura con il mondo esterno. Ci sono due esempi che possono valere su tutti. Primo: il villaggio tecnologico degli Erzelli, un'intuizione felice se non fosse rapidamente declinata verso un dossier che ha come principale obiettivo di risolvere alcuni problemi della Esaote di Carlo Castellano e già ha fruttato un gran vantaggio finanziario ad Aldo Spinelli, che ha visto valorizzate alla grande i terreni liberati sulla collina. Senza considerare come l'originario progetto di Renzo Piano sia stato trasformato in una grande operazione immobiliare.
Secondo esempio: il Blue Print vergato dall'archistar medesimo. Che in un percorso ludico-turistico destinato a unire fisicamente il Porto Antico con la Fiera ha dovuto mantenere la presenza ingombrante delle riparazioni navali. Sol perché l'azienda, che ha in Marco Bisagno - già presidente di Confindustria Genova e oggi uno dei quattro vice - continua a minacciare di lasciare la città se qualcuno soltanto osasse di chiedergli per davvero di trasferirsi a ponente, nell'ambito del cosiddetto "ribaltamento a mare" di Fincantieri.
C'è chi giudica un'anomalia - lo ha fatto Report di Milena Gabanelli - anche il fatto che Confindustria tra i suoi associati abbia anche le banche. La domanda è: che c'entrano? La risposta più semplice è che fare iscritti, da dovunque provengano, porta fieno in cascina a un bilancio che vive le sue brave criticità. Ma quando il direttore Massimo Sola spiega che le banche hanno cominciato a entrare fin dal 1992, allora si capisce meglio la ratio relazionale: se banche e imprese hanno un terreno comune di incontro possono conoscersi meglio e magari il credito per certi investimenti può fluire meglio che seguendo i canali ordinari.
Non c'è da scandalizzarsi. E però: fluisce meglio solo il credito, diciamo così, "sano", o anche quello riservato agli "amici degli amici", se ci si ritrova sotto lo stesso ombrello confindustriale? E ancora: non è che chi sta fuori dal club, vedasi molte aziende artigianali e commerciali, finiscono per risultare figli di un dio minore quando si presentano a uno sportello bancario?
Forse c'è di mezzo anche questo quando Confindustria si trova puntualmente respinta nei propri tentativi di esprimere il presidente della Camera di Commercio genovese. Per ora è una costante, essendo fallito anche l'ultimo tentativo posto in essere da Zampini in persona. Lui giura che "è stata persa una formidabile occasione di cambiamento". Intanto, però, le altre categorie hanno preferito puntare ancora sull'usato sicuro Paolo Odone.
Ne' può passare inosservato il fatto che quando Zampini ha tentato di far passare la logica di un nuovo tavolo genovese di concertazione, con vista sullo sviluppo, ha incontrato il sì convinto solo dell'allora presidente dell'Autorita' portuale Luigi Merlo. Il governatore del momento, Claudio Burlando, di fatto respinse l'invito. Solo una visione diversa, sebbene sostenuta anche dal cardinale Angelo Bagnasco, che pure ha tentato di chiamare a raccolta "le forze vive" della città?
In realtà, dentro Confindustria e fra Confindustria e il mondo genovese esterno c'è una perenne lotta di potere. Che si nutre anche di "questioni personali". Tutti lo negano e lo negheranno. Alla morte. Ma riesce difficile immaginare che Burlando non se la sia presa quando Zampini si oppose al disegno della Siemens, appoggiato dall'allora governatore, di mangiarsi l'Ansaldo. E si può definire "impersonale" la decisione con cui Malacalza, appena arrivato in Carige, chiese a Zampini, che faceva parte del consiglio d'amministrazione, di farsi da parte?
Questioni fra persone e questioni di rapporti fra gli imprenditori e la politica. Aldo Spinelli, uno che a Genova pesa, ci ha messo un amen a saltare dal carro di Burlando a quello del successore Giovanni Toti. Come tanti altri, soprattutto del mondo portuale, ma non solo. Tutti in fila a pagare la maxi-cena che ha tenuto a battesimo la Fondazione Change, la creatura totiana che serve a raccogliere fondi e a fungere anche da "think tank" dell'aspirante leader del centrodestra.
Certo, c'è la complicazione che in Liguria comanda Toti, mentre a Roma c'è Renzi. Ma chi a Genova fa impresa, potere e rendita di posizione non si scompone. Ci si può sempre sdoppiare, a seconda del tavolo al quale ci si accomoda. Del resto, il compianto Avvocato non ne fece mistero: "Gli imprenditori sono per definizione governativi". Amen.
(6a parte-fine)
Nella foto da sinistra: Giuseppe Zampini, Vittorio Malacalza e Stefano Messina
politica
Se in Confindustria Genova più dei servizi pesano le relazioni
Come cambia l'oligarchia in città: da Marta al Marchese, da Burlando a Toti/6
6 minuti e 7 secondi di lettura
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