cronaca

Il racconto di un superstite: "Pietrificati nell'ascensore in caduta libera"
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"Ero in ascensore con i colleghi. A un tratto la luce è andata via e siamo precipitati in caduta libera. Mi sono trovato in acqua tra le macerie e ho atteso i soccorsi". Raffaele Chiarlone, 38 anni, è uno dei quattro superstiti della torre piloti abbattuta dal cargo Jolly Nero, nel porto di Genova, la sera del 7 maggio 2013.

Al processo che vede imputati il comandante della portacontainer della società Messina e altre cinque persone, Chiarlone, che all'epoca era sottocapo di prima classe della Capitaneria di porto ed era addetto al controllo radar del traffico marittimo, ha riferito che quella sera, insieme ad altri colleghi, faceva parte della squadra uscente per il cambio.

"Il turno finiva alle 23 - ha spiegato - ma il passaggio di consegne avveniva sempre una decina di minuti prima. Con parte della squadra siamo entrati in ascensore per andare via ma, giunti al primo piano dove sono ubicati gli uffici, l'ascensore è stato richiamato al piano dei piloti".

"Appena si sono richiuse le porte dell'ascensore - ha aggiunto con voce piena di commozione - la luce è andata via e siamo precipitati in caduta libera. Alla fine mi sono trovato in acqua. Avevo le macerie sulla testa. Con difficoltà ho trovato un varco e sono riuscito a riemergere. Ho ancora gli incubi. Ho paura di annegare. In quei 10-15 secondi prima di finire in acqua mentre l'ascensore precipitava nessuno ha detto una parola, neppure un gemito, silenzio totale. Pietrificati".

Chiarlone ha riferito di essersi fatto l'idea che precipitando si sia aperta la pedana sotto l'ascensore prima di finire in mare. Quando il pm Walter Cotugno gli ha chiesto se quando era in sala controllo aveva notato una situazione di allarme ha risposto: "No, sapevo che c'era una nave in manovra ma non c'è stata avvisaglia di alcun problema. Eravamo collegati ma nessuno ha comunicato nulla".