politica

Verso la consultazione popolare / 9
3 minuti e 53 secondi di lettura
Grazie, direttore, per avermi concesso l’opportunità di illustrare perché voterò convintamente Sì al prossimo referendum costituzionale. Già altri colleghi hanno dettagliatamente illustrato le modifiche apportate dalla Riforma che sarà sottoposta a Referendum; io proverò invece a fare un ragionamento di fondo che spiega le ragioni del Sì partendo da una diversa prospettiva.

In questi mesi ho partecipato a molti dibattiti e confronti su questo tema con sostenitori del No. Con grande rispetto, devo dire che le affermazioni di “principio” di costoro non hanno mai trovato alcun riscontro nelle norme approvate dal Parlamento e, sebbene incalzati, non mi hanno mai fornito puntuali e concrete contestazioni alle ragioni di una riforma attesa da tantissimi anni.

Nessuno può seriamente obiettare che il nostro Paese abbia bisogno di norme di funzionamento più efficienti. Semplificare il processo legislativo e ridurne costi, potenziare la democrazia partecipativa e ripensare il rapporto Stato/Regioni, dove gli interessi nazionali e la virtuosità nella tenuta dei conti siano direttrici fondamentali, sono questioni di cui si discute da decenni.

Eliminare enti come il Cnel, vero simulacro del nulla, che costa milioni di euro ogni anno e che in 60 anni, in adempimento delle sue finalità istituzionali, ha prodotto solo 5 pareri e 16 proposte di legge, nessuna delle quali approvate dal Parlamento, risponde a un’esigenza di equilibrio e serietà istituzionale che travalica ogni ragione.

Il nostro sistema parlamentare, due Assemblee (Camera e Senato) che hanno stessi poteri, identiche funzioni e sono elette sostanzialmente dallo stesso corpo elettorale, rappresenta un’eccezione in Europa e nel Mondo. Il rimpallo delle leggi da una Camera all’altra, attraverso percorsi accidentati ed estenuanti, non è sinonimo di maggiori garanzie e o qualità dei testi normativi, ma al contrario di possibili influenze, troppo spesso foriere di errori.

Garantire un percorso di approvazione di una legge in un tempo ragionevolmente breve, evitare il reiterato ricorso alla decretazione d’urgenza, attribuire un canale privilegiato sul quale incardinare i provvedimenti che costituiscono la spina dorsale del programma del Governo, sono priorità indiscutibili per un Paese che vuole essere al passo della velocità dei cambiamenti che attraversano i nostri tempi.

Finalmente sarà possibile sostituire gli organi di governo regionale e locale in caso di grave dissesto finanziario; per dirla in parole semplici questi enti non potranno più continuare a produrre debiti di cui altri poi dovranno farsi carico. Non ci saranno più indennità per 315 Senatori, rimborsi per i Gruppi politici regionali e un consigliere regionale non potrà ricevere un’indennità superiore a quella percepita dal Sindaco del Comune capoluogo di Regione.

Ai sostenitori del No che apprezzano questa riforma, ma che ritengono che si potesse fare di più, dico che se la Riforma sarà respinta la palude sarà l’unico contesto possibile per il nostro Paese per i prossimi 30 anni e non ci sarà una prova d’appello; per questo l’imperfetto, ammesso e non concesso che così sia, è meglio del nulla.

A chi agita lo spettro di maggioranze agevolate per l’elezione del Presidente della Repubblica e degli Organi di Garanzia (Corte Costituzionale e CSM) chiedo di indicarmi una sola norma che abbassa i quorum elettivi per queste cariche Istituzionali. Ai colleghi di Forza Italia, che gridano contro la riforma, ricordo che loro inizialmente questa Riforma l’hanno votata in Parlamento, salutandola come una svolta per l’efficienza dello Stato.

A coloro che hanno cambiato così repentinamente opinione rammento che la coerenza, l’efficienza e l’interesse del Paese contano più dei propri percorsi politici. Ai cittadini che hanno le chiavi del futuro dell’Italia, chiedo di andare a votare e decidere guardando il merito della Riforma; non saranno elezioni politiche e neppure un giudizio sul Governo.

Il 1° giugno del 1946, alla vigilia di scelte decisive per il Paese, quando molti agitavano spettri per il domani che si sarebbe disegnato, Mario Borsa, l’allora direttore del Corriere della Sera scrisse: “Paura di che? Del nuovo perché nuovo? Del famoso salto nel buio? Il buio purtroppo è in noi, nella nostra ignoranza o indifferenza, nelle nostre incertezze, nei nostri egoismi di classe e nelle nostre passioni di parte”.

La storia si ripete, servono coraggio e fiducia in noi stessi. Basta un Sì per scrivere insieme questo futuro. Serviranno però tutto il cuore, il coraggio e la voglia di innovare che hanno fatto grande l’Italia.