Sono passati 10 anni da quando, quel 7 ottobre del 2006, Anna Politkovskaia venne ritrovata cadavere nell'ascensore del palazzo in cui abitava a Mosca. Il suo nome, soprattutto all'estero, era ormai divenuto un simbolo: di opposizione allo 'zeitgeist' putiniano, certo, ma anche di giornalismo dalla schiena dritta ed eroico senso civico. Il suo omicidio fece rumore; sia in Europa che negli Usa si levarono alte le voci perché le autorità russe dessero un nome ai colpevoli.
Le condanne fioccarono. Ma senza mai svelare sino in fondo la nera trama che avvolge la sua morte. Che anzi, in un certo senso ha fatto 'scuola'. Le indagini, infatti, portarono verso dei ceceni, accusati di essere gli esecutori materiali dell'omicidio. Il mandante, secondo il procuratore Yuri Chaika, sarebbe stato invece un non meglio definito "residente all'estero", la cui intenzione era quella di destabilizzare la Russia.
I media cucirono ben presto l'abito della colpa indosso a Boris Berezovsky, l'ex 'padrino' di Vladimir Putin fuggito in esilio a Londra dopo aver perso la battaglia con lo zar. E' qui che i destini di quella stagione di oppositori e critici del regime putiniano s'intrecciano. Al Frontline Club di Londra, pochi giorni dopo la morte della Politkovskaia, l'ex agente del KGB Alexander Litvinenko accusò Putin, pubblicamente e per la prima volta, di essere il mandante dell'omicidio della giornalista, con la quale era in contatto. Non passa nemmeno una settimana e Litvinenko viene avvelenato da una dose letale di polonio nel tè: Scotland Yard accuserà Mosca di quell'omicidio.
In Russia, intanto, la vita va avanti: sono gli anni del boom e Putin gode di consensi sempre più vasti. Alla fine ci vogliono ben tre processi - il primo di assoluzione - per vedere condannati a pene diverse, compreso l'ergastolo, Rustam e Dzhabrail Makhmudov, Lom-Ali Gaitukayev, Serghei Khadzhikurbanov come i killer di Anna Politkovskaia. E ormai siamo nel giugno del 2014. Che Rustam Makhmudov, come emerso in tribunale, fosse probabilmente legato all'FSB passa in secondo piano. Come, del resto, che quando ci sono di mezzo omicidi 'eccellenti' spunta sempre la pista cecena.
In questo senso il caso di Boris Nemtsov, l'ex primo ministro e fondatore di Parnas freddato a due passi dal Cremlino nel 2015, è quasi una fotocopia: killer caucasici, mandanti introvabili e persino la stessa arma usata per uccidere la giornalista, una pistola Makarov.
Anna Politkovskaia, con il suo libro 'La Russia di Putin', è stata forse la prima a comprendere e denunciare al mondo la natura del potere putiniano e non s'è tirata indietro quando si è trovata a dover confrontarsi con i demoni descritti nei suoi articoli, come nel caso del sequestro del teatro Dubrovka, quando fece parte del team di negoziatori che andarono a trattare con i terroristi il rilascio degli ostaggi - e avrebbe fatto lo stesso a Beslan, nel 2004, se non fosse stata avvelenata mentre si stava recando in Ossezia. Due anni dopo fu messa a tacere una volta per tutte. E dopo di lei, la lista delle vittime 'eccellenti' (o meno) tra le file dell'opposizione non ha fatto che allungarsi.
cronaca
Dieci anni fa l'omicidio di Politkovskaia, giornalista simbolo dell'opposizione a Putin
I media cucirono l'abito della colpa indosso a Berezovsky
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