Genova è una città alla quale non mancano di certo delle eccellenze, in tanti settori diversi, da quelli economici, a quelli culturali, a quelli accademici. Mi ha però sempre colpito l’indisponibilità di gran parte di queste persone a mettersi insieme, a collaborare, a far massa critica nell’interesse della loro comunità. Le associazioni economiche hanno lunga e gloriosa storia ma oggi pesano poco nel contesto nazionale e sovranazionale. Quelle sociali, di riflesso, rischiano il declino.
Un quadro di talenti non valorizzato è sempre un limite, ma lo diventa ancora di più quando, come in questa fase storica nazionale e locale, la politica e le sue forme di rappresentanza tradizionali sono deboli. La politica e i partiti sono pratica e strumenti della rappresentanza dei bisogni sociali, di riunificazione, pur nel rispetto delle autonomie, anche delle varie istanze associative. La politica, cioè la gran parte dei partiti, consapevoli della loro debolezza sono alla ricerca di un ancoraggio “civico”, ma non lo trovano. Non c’è traccia di civismo nella prospettazione dei bisogni della comunità, del suo assetto, della sua collocazione nazionale ed internazionale. Ancor meno ne esiste nella disponibilità dei singoli ad assumere funzioni istituzionali nelle quali donare il loro talento. Ovviamente la responsabilità principale rimane della politica che non è in grado di costruire la minima condizione di garanzia elettorale ed operativa per delle scelte civiche, ma anche la disponibilità soggettiva latita.
Tra qualche mese le cittadine e i cittadini genovesi dovranno votare per rinnovare il consiglio comunale ed eleggere il sindaco. Il quadro da confuso volge verso il grottesco. Il sindaco uscente non ha ancora esplicitato le sue intenzioni. Sarà disponibile a una ricandidatura? Pare improbabile anche perché avendo incassato la decisione del partito di maggioranza relativa di non sostenerlo in quel ruolo dovrebbe, per riproporsi, passare dalle primarie con altri candidati, cosa che per lui equivarrebbe contemporaneamente ad un giudizio negativo e ad un’ordalia. Se non si ricandiderà dovrà spiegare il perché e non potrà in alcun modo ambire a gestire la ricerca degli assetti futuri non avendo a quel punto nessuna funzione di rappresentanza. Dunque l’ipotesi più probabile è quella del deserto senza nulla di concreto in campo, non programmi, non coalizioni, qualche autocandidatura e tanta paura che vincano i meno “strutturati”. Non è un bell’inizio di anno.
*Europarlamentare
politica
Un sindaco che lascia non può dettare le regole del "dopo"
A Genova quadro di talenti non valorizzato
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