Prendevano di mira piccoli imprenditori e li convincevano a farsi prestare grosse somme di denaro, magari in contanti. Poi i tassi si alzavano e restituire diventava sempre più difficile. Alla fine gli strozzini si prendevano tutto: un bar, un appartamento, una società. E le vittime si ritrovavano annientate.
C’è anche l’usura nella nuova operazione della Procura di Genova, coordinata dalla Direzione investigativa antimafia, che ha portato all’arresto di quattro persone nel Tigullio ritenute legate alla ‘ndrangheta calabrese: Francesco Antonio Rodà, Antonio Rodà e Paolo Paltrinieri, accusati di usura ed estorsione aggravata dal metodo mafioso, oltre che riciclaggio, esercizio abusivo di attività finanziaria e intestazione fittizia di beni e società. Con loro anche l’albanese Alfred Remili, che deve rispondere di traffico di stupefacenti. Sequestrati beni per milioni di euro.
Un blitz della squadra mobile di Genova che arriva a completare il filone avviato nel 2016 con l’arresto di otto persone tra cui l’ex sindaco di Lavagna, Giuseppe Sanguineti, e l’ex deputata Gabriella Mondello.
I metodi, secondo gli inquirenti, sono quelli della ‘ndrina Rodà-Casile della struttura ‘Locale di Lavagna’. Gli strozzini erano pronti a presentare il denaro in contanti, fino a 150 mila euro. I tassi di interesse, poi, si alzavano fino al 120%. Chi finiva nelle mani degli strozzini non aveva scampo. Se qualcuno era indietro coi pagamenti veniva prima minacciato di morte. "Farai un volo giù dal viadotto", è una delle frasi intercettate. Poi si passava alle botte: è il caso di un piccolo imprenditore che, a fronte di 250 mila euro prestati, doveva restituirne 560 mila.
L’unico modo per uscirne era accettare di regalare tutto agli usurai e finire completamente rovinati, in condizioni ben peggiori di quelle per cui si chiedeva il prestito. Una spirale odiosa in cui sono finite almeno dieci persone. In questo modo la ‘ndrina sarebbe riuscita a mettere le mani su decine di locali, in particolare su quelli che tenevano all’interno slot machine.
Una sorta di investimento per il futuro, mentre le vittime venivano del tutto prosciugate. Le società 'acquistate' in questa maniera venivano intestate a prestanome - in molti casi le mogli di Francesco Antonio Rodà e Paolo Paltrinieri - e gli affari tornavano fiorenti. A confermare che si tratta di 'ndrangheta sarebbe anche un recente sequestro di armi a San Colombano Certenoli, nell'entroterra di Chiavari.
“Una mafia che guadagna e lucra, ma non dichiara. E riesce a infiltrarsi nel sistema economico”, spiega il sostituto procuratore Alberto Lari che ha coordinato le indagini della Polizia. La Polizia ha sequestrato un prestigioso appartamento in riva al mare nella Baia del Silenzio a Sestri Levante, un’auto di grossa cilindrata e quote societarie. Beni che non sarebbero provento diretto di un’attività illecita, ma possono essere acquisiti in via preventiva a fine di confisca. Appartengono, cioè, a soggetti che dichiarano redditi o esercitano attività con cui sarebbe impossibile mantenere quel tenore di vita.
Scrive Lari nella sua relazione: "in più di una occasione, Paltrinieri si reca da un imprenditore e, per rientrare del denaro relativo agli immobili che gli erano stati prestati per la realizzazione di alcuni appartamenti a Lavagna, gli disse che sarebbe volato giù da un viadotto così imparava ad essere inadempiente con gente come loro; in un'occasione, sulla propria autovettura, Paltrinieri, al quale l'imprenditore aveva consegnato 10 mila euro a fronte dei 40 mila che quest'ultimo pretendeva, lo aveva schiaffeggiato tanto da fargli volare via gli occhiali".
L'attività di usura viene dimostrata anche con un altro episodio, significativo, secondo gli inquirenti, della liquidità che il sodalizio aveva e che poteva essere usata per strozzare gli imprenditori in grosse difficoltà economiche. Sempre la stessa vittima riceve dagli indagati una valigetta con dentro 150 mila euro in contanti, consegnati all'interno di un bar a San Salvatore di Cogorno. E ancora, Francesco Rodà viene intercettato mentre parla con il padre di un altro imprenditore strozzinato e lo minaccia. "Devo mandarlo in ospedale. Doveva venire martedì e lo sto ancora aspettando. Comunque, appena lo vedo io ci faccio male".
Per ingrassare le casse dell' organizzazione, però, gli indagati si servono anche del traffico di stupefacenti. L'albanese Remilli, imprenditore, secondo l' accusa spaccia per conto dei Rodà. Il gruppo individua i clienti più facoltosi e rivende loro la cocaina a prezzi di gran lunga superiori a quelli del "mercato": è, ad esempio, il caso di un imprenditore a cui Remilli in un anno riesce a piazzare coca per un totale di 560 mila euro, per circa 1500 euro alla settimana..
cronaca
'Ndrangheta nel Tigullio, spunta l'usura: così i Rodà 'compravano' bar e slot
Altri quattro arresti legati al filone del 2016, sequestrati milioni di euro
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