Che cosa è diventata Genova negli ultimi dieci anni da quando il sindaco Pericu, concluso il secondo mandato meno brillantemente del primo, tornava a fare il grande professionista del diritto amministrativo? Che fine ha fatto la “Genova rossa” che enfaticamente e con eccessive dosi di retorica retrò veniva indicata come capitale della sinistra storica, dove i portuali non dimenticavano mai di avere impedito nel giugno del 1960 il congresso missino e gli operai delle acciaierie andavano compatti a votare Pci?
Beh, ha fatto proprio una brutta fine. Ahimé quei portuali non esistono più così come li descrivevano gli inviati che non conoscevano quale fosse realmente la nuova vita (più grama) del porto e nemmeno quelli delle acciaierie, sballottati da un padrone all’altro, sempre meno “industriale” e sempre più finanziario.
Quella Genova non c’è più da tempo, sicuramente da dieci anni, ma anche da più. È stata sostituita da una città “magra” vecchia, che vive di ricordi e nostalgie nemmeno più mescolate alla sanissima arte del mugugnare. “Che intanto mugugnare non costa niente”. Genova sta in panchina come i suoi vecchi da una ventina di anni, aspettando sempre un Godot che non arriva. Si chiama di volta in volta supertreno, terzo valico, bretella o gronda, ma anche camerieri, hotel, turisti, fiere, aeroporto, tecnologia. Dopo Pericu non fu un Godot Marta Vincenzi: la sua discontinuità sfumò e malamente è stata travolta dalla tragedia dell’alluvione caduta tutta sulle sue spalle, come se nei cinquant’anni precedenti, nessuno fosse se non colpevole almeno responsabile di quello che aveva consentito o, peggio, non fatto.
Il sindaco-marchese pulito come un giglio uscito dal bucato è appassito rapidamente trascinando nel suo calvinismo la città, che non lo ha mai capito anche perché lui ha fatto di tutto per non farsi capire, sostenuto da un’atavica superbia nobiliare e da modesti compagni di cordata. In tutto questo bailamme il Pci, poi Pds, Ds e Pd ha fatto ampiamente la sua parte. Soprattutto in questi ultimi cinque anni, facendo finta di sostenerlo, ma parlandone sempre malissimo, o peggio, non essendo in grado di contrapporgli né una visione della città, né qualche personaggio che questa visione sapesse immaginarla e proporla. Il vuoto pneumatico.
Il risultato è in questo ultimo voto. Anzi in questo incredibile “non voto” dei genovesi. “Tra il 2017 e il 2007, infatti, mentre il numero degli aventi diritto al voto passa da 523.000 a 491.000 con un decremento del 7,1%, quello dei votanti crolla da 323mila a 238mila: meno 26,5%", ricorda il senatore ex Pd oggi scismatico, Federico Fornaro che sottolinea come "il candidato del centro-sinistra, in dieci anni, perde per strada 82.mila voti, ovvero la metà del suo tradizionale bacino di consenso (meno 51,7%)”.
Non ha vinto la destra, tantomeno l’ala leghista che ha avuto però consensi laddove il degrado avanzava mangiandosi la città. Sia popolare che residenziale. Ha vinto l’assenza, il vuoto, il nulla. Hanno vinto gli astenuti.
I Cinquestelle che avevano intercettato queste assenze oggi le hanno in gran parte perdute.
I DUE SCISMI PARTITI DA QUI
Tutto questo per colpa dei due scismi: quello dei d’alemian-bersaniani che nel 2015 hanno abbandonato il Pd per non votare la candidata regionale Raffaella Paita, presentata dall’ex governatore Burlando. Un anno prima che ci fosse lo scisma nazionale. E oggi lo scisma dei Cinquestelle, al diktat del leader: “Fidatevi di me”, operato da quei grillini antesignani che erano e sono a Genova “di sinistra” ma per davvero.
Come scrive saggiamente l’alessandrino Fornero che da Oltregiogo legge bene Genova: “Tutta colpa di un deficit di rappresentanza”.
La città più o meno mantiene la sua geopolitica: la sinistra sta là a Ponente, la destra moderata sta a Levante e al Centro?
Qui il panorama è differenziato, ma non più comunista, leghista e nemmeno grillino. Se nella parte di ponente, nei quartieri popolari di Oregina, San Teodoro, via Napoli, Lagaccio vince Crivello, al confine con la parte borghese (ancorché, come si dice, illuminata) di Castelletto-Manin segnata dall’inizio dell’elegante Circonvallazione a monte, trionfa Bucci. Esempi? Scuola di Oregina, Crivello oltre il 42 per cento, Bucci al 27, Pirondini al 20. Scuola di via Peschiera, Bucci sfiora il 60 mentre Crivello sta sotto il 30, ma svanisce Pirondini intorno al 10.
Poi nei vicoli dove, come a Berlino d’antan, c’è la Caruggi Ovest di Prè con Crivello sopra il 30 e Bucci sotto e dove Pirondini sfiora il 25 per cento e Putti a volte si avvicina al 15. A Sarzano-Erbe, cioè la Caruggi Est la forbice si attenua. A Sarzano: Crivello 35-38, Bucci 33-35 e Pirondini 13-17. Ma qui c’è la cosiddetta movida e gli appartamentini sui tetti ancora ben quotati.
L’enclave rosé diventa bianchissima nella super-ricca Carignano con Bucci sempre molto oltre il 50 per cento (eccetto via Volta per il voto dei ricoverati dell’ospedale Galliera: 55 a 19 a favore del centro sinistra), Crivello tra il 23 e il 29 e Pirondini appena sopra il 10.
UN DEFICIT DI RAPPRESENTANZA
Questi numeri fanno commentare al professor Luca Borzani che “non c’è stata la rivolta del centro storico profondo e che le immagini di pericolo e di desertificazione spesso avvallate dai media non corrispondono alla percezione dei votanti”.
Ma tutti i voti a destra e persino ai grillini sono spinti esclusivamente dal caso sicurezza. Dalle battaglie contro il mercatino dei migranti di corso Quadrio. Dalle bottiglie rotte per terra, dalla puzza di piscio in ogni angolo, da qualche scippo. Così come sicurezza, ma soprattutto stato di abbandono, danno ossigeno al centrodestra nei quartieri residenziali borghesi lontani dai temi migratori ma mal tenuti dal Comune, che qui diventa il capro espiatorio di tute le magagne. Con l’assioma Degrado=Comune=Doria=Pd.
C’è il caso curioso del Lagaccio. L’attenzione, peraltro ancora tiepida, sul recupero della fatiscente caserma Gavoglio non premia assolutamente il centrosinistra. Anzi questa è l’enclave della destra in un territorio tradizionalmente di sinistra.
Conclude Borzani da storico ancorché di sinistra: “Il tessuto sociale solidale del centro storico in qualche misura è ancora forte a fronte del peggioramento della qualità territoriale e la fine del processo di rigenerazione urbana. Gli stessi comitati onnipresenti mediaticamente hanno ottenuto un risultato assai modesto. Si profila a mio parere l’ennesimo caso in cui, più che alla vittoria del centrodestra, assistiamo a una progressiva contrazione di un centrosinistra che appare esangue e di potere".
Tornando a Fornaro possiamo utilizzare il suo linguaggio raffinato, ma esplicito: tutta colpa di un deficit di rappresentanza. In parole poverissime: mancano gli uomini. E i pochi che ci sono… beh lasciamo perdere. Allora chi sceglie il sindaco di Genova? Gli astenuti.
CREVARI ROSSA, FIORINO A DESTRA
Periferia uguale Ponente, dove Ponente nella Genova politica, elettorale si intende soprattutto per i quartieri che stanno al di là della linea, appunto “rossa”, di Sampierdarena, rimontando verso la Valpolcevera, che in uno slancio di ottimismo l'ex presidente degli Industriali Stefano Zara definì la Ruhr di Genova. E viaggiando oltre Sestri e Multedo e Pegli e Prà, fino a Voltri e arrampicandosi nel suo entroterra, verso Genova Nord-Nord dove la città finisce, ma non l'incubo del crac affluenza.
Nell'estate del non voto e della geopolitica capovolta, ma non troppo, anche il Ponente è un saliscendi senza certezze. Ti arrampichi fino a Fiorino, la “montagna” di Voltri e i votanti sono in perfetta media choc anno 2017, cioè sul 48 per cento, ma Bucci svetta del 40 per cento su Crivello al 31. Un'enclave di Destra montanara? A Mulinetto di Voltri la percentuale votanti è crollata al 35 e Bucci vola al 39, mentre Crivello cade al 30,23.
Scopri dalle estremità urbane che quella geopolitica, che sembra avere tenuto nei suoi assi cittadini principali, è completamente sforacchiata, sezione per sezione. Perchè se Crivello stravince a Crevari con oltre il 56 per cento, in quel castello sul mare, celebre per le focaccette che hanno tentato i palati dei compagni di cento Feste dell'Unità, il cuore Pd batte ancora più forte in via Pissapola, alture di Prà, boom di votanti 62, 56, Crivello al 57 e Bucci al 23,84. Ma Bucci in via Ulanosky, un nome una garanzia post Urss, batte il concorrente 35 a 31 e hanno votato in pochi: il 48 per cento quando ieri erano oltre al 60...
“E LO IMBELINANO A PONENTE”
Viaggi sempre in saliscendi in questo Ponente, ricordandoti della famosa frase di un sindacalista storico della Cgil, Franco Sartori, ahimè scomparso da anni, che sintetizzava così il rapporto tra la città e queste propaggini della periferia operaia, portuale, abitativa: “Ricordati, quando a Genova c'è un problema, lo imbelinano a Ponente”. E alludeva alle grandi fabbriche, al petrolio del porto, ai depositi sulle alture, ai tubi degli oleodotti, alle nuove banchine, alle cataste di container, all'aeroporto, al mare rubato.
Per decenni intorno alle battaglie per resistere a questa invasione la politica si è organizzata intorno ai partiti della sinistra, nella loro tormentata ma compatta evoluzione. Oggi il cambiamento è epocale. Se, come scrive il senatore Fornaro in dieci anni il candidato del centro sinistra ha perso 82 mila voti, la metà del suo consenso, quanti sono volati via da queste terre di un quasi monopolio esclusivo?
Viaggi capillarmente nelle sezioni del Ponente a caccia di percentuali di voto e scopri il baratro, ecco dove sono volati via quei 82 mila voti, pezzo per pezzo, sezione per sezione: in via Pietro Rostan ha votato il 41 e anche se Crivello ha preso il 39 e Bucci il 29 e Pirondini il 17, il vuoto è abissale.
In via Branega, altro santuario del fu Pci, i partecipanti sono stati il 40 con Crivello al 41, Bucci al 28 e in via Pegli, zona più turistica, ma sempre schiacciata dai problemi di quel Ponente, i votanti sono il 43 e semmai si nota il solitario exploit di Pirondini, salito al 31. Se torni indietro e vai verso Sampierdarena, terra dell'insicurezza e della legalità da riportare a tutti i costi, il deficit partecipativo ti aggredisce subito in corso Martinetti: ha votato il 36, Crivello è in testa con il 36 e Bucci e Pirondini pareggiano al 26. Anche questo un segnale chiaro contro l'insicurezza sociale: Lega e 5Stelle si incassano insieme il 52, ma dove il 64 per cento ha disertato. Sprofondi in via San Bartolomeo del Fossato, luogo storico delle aggregazioni a sinistra del tempo che fu e anche qua la fuga ha portato via più del 52 per cento di elettori. Crivello sta in testa con il 35, ma il pentastellato è ben sopra la media, oltre il 25. Chi vuol capire, capisca.
Stefano Zara, saggio di Confindustria, ex uomo Ansaldo e tanto altro, quella periferia ponentina la conosce bene e ha la sua spiegazione sul non voto e sui capovolgimenti che cambiano il panorama. “La grande fuga della sinistra non si spiega con le polemiche, le scissioni, le divisione nel Pd, ma con la fine dalla 'Ditta'. Il Ponente era un bacino di voti affezionati alla Ditta comunista. Oggi sono tutti invecchiati, sono penionati e non trovano più la loro Ditta. Non è questione di Renzi o di non Renzi".
Insomma è finita, per il leader industriale, una appartenenza a un mondo che è scomparso. “Votavano un mondo comunista, con le sue regole e i suoi capi che ora non c'è più. Era come se fosse un'azienda affidabile con un capo riconoscibile. Tutto finito. E allora non vanno neppure a votare. Anche se Crivello, in fondo, ha i connotati di quella vecchia Ditta, ma non basta più".
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