È una sfida coraggiosa e con una buona dose di rischio come tutte le sfide che si rispettino mettere insieme due teatri del peso dello Stabile e dell’Archivolto. Tradizioni, storia, simboli, grandi attori, spettacoli memorabili, ma anche un grande fardello economico in un periodo in cui tutte le casse della penisola sono assai magre e quelle locali peggio. L’obbiettivo è la conquista del titolo di Teatro Nazionale che un pasticciaccio mai chiarito ci ha soffiato due anni fa.
L’accoppiata che è stata ufficializzata con la presentazione di un cartellone ricchissimo di novità e stimoli, ma anche rispettoso di alcune consolidate certezze dei gusti genovesi (pubblico attento, severo e esigente il nostro) ha le carte in regola per raggiungere lo scopo che significa molte cose. Se vogliamo sintetizzare: un riconoscimento di valore culturale che i due enti posseggono, ma anche la possibilità di avere più attenzione economica, almeno alla pari degli altri teatri nazionali che francamente non mi sembrano così superiori a Genova. Anzi.
L’alleanza indica anche una strada che probabilmente dovrà ispirare molte iniziative culturali della nostra città (musei, gallerie, associazioni, circoli) che si barcamenano tra costi e scarsi finanziamenti e che dovranno trovare soluzioni coraggiose per potere reggere le intemperie dei tempi. I finanziamenti a pioggia mettono soltanto dei cerotti che presto si staccano dalla pelle lasciando le ferite e , quindi, sono necessarie strategie e scelte nel rispetto dei cittadini che chiedono cultura, ma anche di evitare sprechi.
Un compito tutt’altro che facile che compete agli amministratori delle macchine culturali ma, soprattutto, agli amministratori locali. E che imporrà anche alla nuova giunta comunale che uscirà dalle urne domenica di dare una risposta chiara e fatta di certezze.
Intanto godiamoci questo cartellone che verrà inaugurato da due novità assolute: la riduzione teatrale del celebre Il nome della rosa il best seller di Umberto Eco e Fine dell’Europa di Rafael Spregelburd, un’ analisi della civiltà occidentale e delle sue prospettive. Ma anche lo Spoon river di Fabrizio De André al Modena di Sampierdarena. Che trascineranno decine di altri spettacoli utilizzando ben quattro sale: la Corte, il Duse, il Modena e la Sala Mercato.
Riusciranno i nostro eroi? Lo speriamo per Genova che ha davanti a sé cinque anni per giocarsi il futuro che, per una città che sta diventando a pieno diritto anche turistica, è in buona parte culturale.
cultura
La sfida di un teatro a Genova che diventerà davvero nazionale
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