Anche a me è capitato di trovarmi per un caso fortuito in una zona della città non abitualmente percorsa e di rimanere colpito dalla condizione urbana in cui vagavo, spinto più dalla curiosità che da esigenze urgenti. Un po’ come era accaduto a Ernesto Galli della Loggia, la grande “”firma” del Corriere della Sera, che aveva raccontato della sua imprevista gita in una sperduta periferia romana dove aveva scoperto il degrado “seriale”, l’abbandono, la disconnessione metropolitana comune a tante parti d’Italia, per le quali aveva lanciato un grido d’allarme sulla condizione delle nostre città.
Ma io non ero in periferia, bensì nel cuore di Genova, border line dei caruggi, sulla direttrice tra Principe, lato mare-Stazione Marittima, verso San Giorgio in quell’area che si chiama Sotto Ripa e che contiene la polpa, l’anima, il succo dell’identità genovese.
Ebbene, camminando lentamente verso san Giorgio, percorrendo il tetto della linea dell’unica metropolitana che abbiamo, che film vedi scorrere della città?
Sei in faccia alla Stazione Marittima, al cadavere in attesa di rianimazione dell’Hennebique, al Museo del Mare, alla Darsena, a tutto l’ambaradan del Porto Antico, dal Galeone, all’Acquario, il top dell’attrazione che calamita le correnti neorimontanti dei turisti, dei crocieristi, dei visitatori finalmente dirottati qua.
Costeggi la frontiera sud dei magici caruggi, sfili sul bordo basso di palazzi da riconoscimento Unesco, in fondo a vicoli attraverso i quali sbalugina il fascino di uno dei centri storici più grandi e attrattivi d’Europa. Ne respiri perfino gli afrori, ne riconosci il fascino genetico, quando a spicchi ti spuntano Palazzo Reale, Prè, Fossatello, Porta di Vacca e via andare.
Eppure dove cammini, cosa vedi su questa frontiera quasi obbligata? Partendo da Principe sei in una specie di China Town: i negozi sono solo loro, cataste di merce fuori e dentro, con rari intervalli di call center , di postazioni telefoniche, il pubblico che cammina è totalmente di immigrati in un vero melting pot che si esalta e si concentra. Quando arrivi al gioiello della Commenda, da China Town passi al Sudamerica con il tocco vintage dei chioschi trasferiti del fu mercatino di Prè. Ma non è tanto la occupazione straniera che colpisce, quanto il degrado urbanistico, lo stato dei marciapiedi, il livello dell’offerta commerciale, dove resiste come in un’isola qualche esercizio del vecchio passato portuale, come a ricordare che una volta qua di fronte non c’era il porto dei turisti, ma il muro del porto commerciale, i silos della grande merce sbarcata dai vapori.
Non illuderti quando arrivi proprio Sotto Ripa, sotto i portici scuri che incominciano a delineare Piazza Cavour, quella che Renzo Piano voleva diventasse una vera piazza mediterranea.
Qui ci sono bar e banchetti che radunano una popolazione mixata di africani e sudamericani, probabilmente in attesa di ingaggi per lavorare o di chissà che altro della vita spostata dall’immigrazione. Certamente passi anche davanti a monumenti del commercio genovese, come l’Armanino della frutta secca o il Luccarda dell’abbigliamento marinaro vintage anni Cinquanta- Sessanta, ma ti accorgi che un mito della ristorazione tradizionale genovese come Vittorio ha chiuso i battenti, anche travolto dalle offerte gastronomiche arabe, cinesi, giapponesi, sudamericane. Questa offerta mixata potrebbe anche essere un atout, una chance nel quadro turistico che in faccia svela le grandi attrazioni del Porto Antico. Ma il livello dovrebbe essere un altro, la tenuta urbanistica diversa dalla sensazione di degrado scalcinato, con i portici fatiscenti, le facciate dei palazzi cadenti o maltenute, la popolazione sbandata, vagamente inquietante, sopratutto quando i toni delle voci si alzano, quando i raduni si infittiscono.
Insomma la sensazione è quella di essere in una terra di mezzo abbandonata, tra i segreti dei caruggi e l’offerta turistica di fronte, oltre il muro del traffico veicolare, verso il confine di palazzo san Giorgio.
E allora la domanda sarà se questa è in fondo una periferia della città che non ha periferie se non quella di “pezzi” del centro storico?
Non sarà questa l’area da rivitalizzare per il suo valore di cerniera tra la zona turistica e i caruggi, in realtà mai supportata e di notte addirittura diventata infrequentabile, quando calano le saracinesche?
Ci sarà pure una politica di nuova rete commerciale da inaugurare per tenere il passo degli incrementi turistici, ci sarà un disegno che consegue dal recupero dell’Hennebique e dalla soluzione dell’eterno problema di ponte Parodi!
Se nelle metropoli italiane il recupero delle periferie è una scommessa di maggiore integrazione con il centro, facile nella Milano di City Life e del post Expo’, difficile a Roma, dove la banlieu si perde in campagne senza confini e anime, a Genova si potrebbe partire da qua, “attaccando” questa frontiera mirabolante al tessuto del porto e dei caruggi.
In fondo la manovra di Palazzo Reale, che “bucherà” via Prè per sfociare con gallerie d’arte e altre aperture in basso, è un primo passo. Ma non basta.
cultura
Dove è la periferia di Genova? Il degrado tra Principe e San Giorgio
Una 'periferia' nel cuore della città
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