"Cocchini lo ha detto chiaro: Genova per loro è una città di poveri, di gente che non spende, gente piena di problemi anche occupazionali. Per questo Rinascente chiude". Parole pesanti, quelle che l'amministratore delegato del gruppo ha riferito ai sindacati in attesa dell'incontro del 28 febbraio. In quella data dovrebbe essere svelato il nome di chi si insedierà negli spazi di via Vernazza assorbendo i 59 lavoratori dei grandi magazzini.
"Al momento non sappiamo nulla di certo - precisa Silvia Avanzino, segretario ligure della Fisascat Cisl - ma di sicuro l'azienda non tornerà indietro, e ricordiamo che il contatore si chiuderà a ottobre 2018". Alcune indiscrezioni, per la verità smentite da più parti, hanno riferito di una trattativa con un gruppo cinese interessato ad aprire un centro fitness. "A noi non importa chi e come, ci interessa solo che qualcun altro investa e porti occupazione, anche in un altro settore", dice la sindacalista.
Di certo il brand milanese non ha avuto un atteggiamento positivo col capoluogo ligure. E sulla scia di quelle dichiarazioni, altre catene si sarebbero tirate indietro. "Dicono che loro rappresentano il lusso e che non hanno interesse a rilanciare e ristrutturare questo punto vendita. Eppure a Torino hanno investito parecchi milioni e apriranno altri tre piani. Qui non investono nulla dal 1990", spiega Avanzino.
Allora giriamo il coltello nella piaga: perché ci snobbano? "Dicono che qui perdono troppi soldi. Siamo una città di poveri e, per il turismo che abbiamo, totalizzano l'11% di margine rispetto a quello normale. In realtà hanno già fatto il loro calcolo. Grazie a cinque anni di contratti di solidarietà e sacrifici dei dipendenti si sono messi nel borsino un bel risparmio. Ora l'unico modo di non perderci è andarsene".
Del resto quella di Rinascente non è l'unica partita persa in città. In via XX Settembre l'ultima doccia gelata è piombata su Trony (già Fnac ai tempi che furono). Altra chiusura e altri posti in meno. Perché a reintegrare i 16 dipendenti licenziati dallo store tecnologico non sarà Pull&Bear, quinto negozio del gruppo Zara (spagnolo) nella via del commercio genovese per eccellenza. E al momento una soluzione per loro ancora non c'è.
Anche in questa vicenda la cattiva pubblicità fatta dal management di Rinascente un certo peso lo ha avuto: "Ci siamo trovati al tavolo nazionale dove il nuovo competitor ci ha detto che la nostra piazza non è interessante e quindi non sarebbe venuto a Genova". Tra chi si era fatto avanti c'era ad esempio Unieuro. Certo, con un marchio dello stesso settore, riassorbire gli esuberi sarebbe stato più facile.
"In effetti non è una città così povera, ma nemmeno così ricca. Servono infrastrutture, incentivi per investire qui, e una corsia preferenziale per i lavoratori espulsi", osserva ancora Avanzino. Che non gongola per le aperture sulle ceneri dei vecchi negozi: "Le catene straniere arrivano, investono, ma non assumono. I contratti a tempo determinato sono uno o due, il resto sono a termine o apprendistati. Questa non è buona occupazione".
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"Genova città di poveri e disoccupati": ecco perché i grandi brand ci snobbano
Rinascente fa 'cattiva pubblicità'. E altre catene scappano
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