Camminando per la Genova deserta di questi tempi duri, con la mia autocertificazione da giornalista in tasca, mi sembra quasi di strisciare lungo i muri, quasi volessi scomparire io stesso nel panorama così inconsueto: il silenzio gravido di sensazioni pesanti, la sottile paura di quello che ci aspetta, il vuoto delle strade, dei marciapiedi, delle saracinesche calate.
E mi vengono in mente da vecchio cronista, altri silenzi, altre paure per queste strade per queste piazze degli ultimi decenni e le paragono a oggi, al nemico invisibile del virus che gira, gira anche qua, anche in questa atmosfera di mascherine sul volto dei rari passanti, nelle timide code davanti alle poche porte aperte, alla distanza che metti, un po’ pudico, un po’ spaventato, quando incroci qualcuno, raramente, sempre più raramente.
Ricordo il giorno dei funerali del procuratore generale della Repubblica Francesco Coco, all’alba del terrorismo, nel giugno del 1976. Le bare del magistrato e degli uomini della sua scorta dentro al Palazzo di Giustizia e intorno la città trasennata, choccata, silenziosa davanti a quel primo omicidio delle Brigate Rosse, allora un nemico sconosciuto e invisibile. Vennero altri silenzi, altre piazze mute dal dolore e dalla rabbia per i morti di terrorismo, ma quel senso di incredulità totale mi è rimasto come una sensazione quasi viscerale. Lo avremmo sconfitto quel mostro invisibile del terrorismo, dopo anni e anni di morti, di feriti, di bombe, di attentati, di eroismi e di sfide. Non penetrava nella vita di tutti i giorni, nelle nostre abitudini, nelle nostre “distanze”, non ci barricavamo , ma c’erano le scorte, c’era la paura di tornare a casa nel buio della sera se il tuo nome era comparso in qualche elenco di predestinato, se qualche tuo parente o amico era minacciato.
Poi ricordo il silenzio del G8 a Genova, nell’estate del 2001, in una notte terribile, dopo quel venerdì in cui era stato ucciso Carlo Giuliani e la città era stata devastata dalle violenze e io tornavo a casa in un silenzio e vuoto totali, tra la “zona rossa” e la “zona gialla” , indicate con quella terminologia che è tornata oggi così allargata, così totale. Camminavo nel deserto, percorrendo strade diverse da quelle abituali perché le barriere sezionavano gli spazi, ti obbligavano a allungare il tuo tragitto per aggirare le chiusure e mi dicevo, in quel silenzio tombale: “ Ma come è possibile, sono nel cuore della mia città, nell’Europa civile e sicura, in una sera d’estate e mi sembra di essere in un paese in guerra.”
Il G8 della città devastata, della violenza, era durato tre giorni da incubo, ma poi, come di colpo era finito. Tornando a casa, tre sere dopo, avevo ammirato l’operosità efficiente dei genovesi che stavano rimettendo tutto a posto, cancellavano le ferite della violenza, smontavano le gabbie. Anche allora la paura era stata sconfitta, lo spirito della rinascita dalle distruzioni aveva vinto.
E poi inevitabilmente mi ricordo di quel ponte crollato nell’estate del 2018 e collego quel momento così tragico al silenzio della piazza De Ferrari, un mese dopo, quando nell’ombelico di Genova si ricordava il primo mese dalla tragedia dei 43 morti, 14 settembre, tanta gente come da tempo non si riuniva lì, tutti in silenzio mentre si scandivano i nomi delle vittime. Un silenzio gravido, pesante, di dolore, di rabbia, ma anche di condivisione.
Non c’era un nemico invisibile da combattere, ma una tragedia ingiusta, enorme che aveva colpito anche il cuore della città, l’aveva spezzata. Abbiamo reagito, eccome, a quella sciagura e ancora si lotta e si recupera e quei pezzi del nuovo ponte che salgono nei giorni duri della nuova grande paura, sono come un segnale di speranza, come un orizzonte al quale guardare, mentre una nuova ombra ci avvolge.
Dipende anche da noi, da ciascuno di noi, come in quelle strade mute del terrorismo, come davanti alla violenza nei giorni del G8, come sotto quel Morandi spezzato sotto il diluvio. Il silenzio e la speranza…..
cronaca
I silenzi di Genova, la paura e la speranza nell'ora più buia
Ricordi da 'vecchio' cronista
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