cronaca

Ha scelto il profilo del silenzio, preferendo restare nel convento dei suoi confratelli francescani ad Albaro
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Forse l’immagine che mi ha colpito di più di questa deludente campagna elettorale, torrida e scarsa di contenuti, è la scena dei candidati seduti sul piazzale di san Lorenzo e in prima fila il nuovo vescovo, Marco Tasca, padre francescano dei conventuali, che li ascolta in silenzio.

Non era mai successo che un incontro politico elettorale avvenisse in presenza dell’arcivescovo, che ha fatto sapere di essere semplicemente lì per ascoltare. Questo passaggio significativo, seppure solo di ascolto, sottolinea quanto sta cambiando nella Curia genovese dopo il cambio del suo vertice, avvenuto in luglio con la successione di Marco Tasca, consacrato vescovo in Piazza della Vittoria, a Angelo Bagnasco, il cardinale arcivescovo a Genova da 13 anni.

Si può dire già che non è solo un cambio formale, con un frate con il suo saio e il cordone che prende il posto di un cardinale-principe della Chiesa, membro del Conclave, tra gli elettori del Papa, sempre impeccabile con le sue insegne color porpora, i gemelli ai polsi, lo zucchetto ben calzato, il tono elegante, spesso un po’ distaccato.

Non è solo perché non è andato ad abitare nella residenza della Curia, nel cuore di san Lorenzo e Piazza Matteotti, nell’appartamento cardinalizio, ma ha preferito restare nel convento dei suoi confratelli francescani ad Albaro, in una cella con un letto austero, un piccolo scrittoio, un comodino.

Non è solo perché finora il vescovo francescano Tasca ha scelto il profilo del silenzio, del non protagonismo, delle messe celebrate a sorpresa nelle parrocchie scelte all’ultimo momento, senza avvertire, invece che la politica degli annunci delle visite pastorali con tanto di accoglienza e tribolazioni alla porta della chiesa prescelta.

Non è perché fino ad oggi il nuovo pastore genovese ha usato la cautela più assoluta, rispetto ad ogni tipo di problema che gli si è stato posto: dalla questione del nuovo Ospedale Galliera, di cui lui è per Statuto presidente, come lo è del Gaslini, per volontà dei benefattori-fondatori, la Duchessa e il senatore Gerolamo.

In questo passaggio si marchia la differenza tra il tempo di papa Francesco e quello dei suoi predecessori. Il vescovo di Genova non sarà più cardinale, come non lo è più quello di Venezia, il Patriarca (tra l’altro oggi un genovese, Francesco Moraglia), né quello di Torino. Vuole anche dire non solo che cambia la politica vaticana nella scelta dei cardinali, ma che a Genova è terminata l’epoca dei cardinali-principi e ne è cominciata una diversa, già segnata profondamente dalla novità.

Dopo il cardinale-principe per eccellenza, Giuseppe Siri, due volte papa mancato, e lasciando da parte il suo immediato successore, Giovanni Canestri, una figura giusta per una difficile transizione, sono stati “principi” tutti i successori, destinati a carriere sfolgoranti, per le quali Genova è stata spesso anche un rapido sfondo. Era un “principe” Dionigi Tettamanzi, anche nella sua teologia forte e rigorosa, nella sua attenzione agli ultimi. Non a caso da Genova partì, destinato ad una delle diocesi più importanti del mondo, quella di Milano, dove lasciò segni importantissimi. Dopo Tettamanzi il papa mandò a Genova Tarcisio Bertone, che fu un po’ come una meteora, con il suo attivismo salesiano. Da Genova fu trasferito a Roma, per fare niente meno che il Segretario di Stato di papa Ratzinger, in una posizione tra le più importanti, non solo nella Chiesa ma nel mondo.

Poi venne Bagnasco, genovese dei caruggi, anche se nato in campagna, cui presto diedero l’incarico anche di presidente della Cei, un ruolo chiave a Roma, e poi in successione di un cardinale “storico” come Camillo Ruini, gran tessitore di rapporti tra la Chiesa e la politica. Inutile sottolineare che appena nominati a Genova tutti questi alti prelati furono subito insigniti della berretta cardinalizia e diventarono protagonisti dei conclavi, nei quali Tettamanzi ebbe anche qualche possibilità di salire al supremo soglio.

Oggi Genova ha un arcivescovo che sembra avere ben altre prospettive, ben più "francescane". Si può forse dire che con lui finiscono effettivamente, dopo 33 anni, il dopo Siri e l’età dei cardinali principi. Cosa succederà ora ce lo dirà, ed ha già cominciato a farlo in silenzio, padre Marco Tasca, che pochi a Genova chiameranno Sua Eccellenza, come richiederebbe la sua carica.