politica

L'anniversario della morte di Moro
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Come per il 16 marzo, ricorrenza del rapimento di Aldo Moro e dell'omicidio degli uomini della sua scorta, anche per il 9 di maggio, giorno dell'assassinio e del ritrovamento del corpo del Presidente della DC, ho messo in ordine i miei ricordi e nessun commento col senno di poi; solo quello che ho fatto e visto, i pensieri e le emozioni di allora.

Dal 16 marzo la Direzione Provinciale allargata a tutti i quadri dirigenti si riuniva tutti i giorni nel tardo pomeriggio. Nelle prime settimane c'era molto da fare, tutti Consigli Comunali si stavano riunendo, molte Associazioni organizzavano incontri nei territori, si moltiplicavano le Assemblee sui posti di lavoro.

Poi, man mano che i giorni passavano, diminuivano le cose da fare e insieme cresceva la sensazione di impotenza, rabbia e solitudine. Parlo per me: non riuscivo a capire cosa stesse succedendo e quello che vedevo non mi piaceva. Non capivo come fosse possibile che i Servizi non avessero avuto prima informazioni e perché brancolassero ora nel buio mentre i brigatisti indisturbati mettevano messaggi nei cassonetti di mezza Italia.

Trovavo incredibile la vicenda della seduta spiritica narrata da Romano Prodi in cui sarebbe uscito il nome “Gradoli” e la ricerca del corpo dell’omonimo Lago senza pensare che a Roma esiste via Gradoli. Vivevo con estremo fastidio le meschinità politiche che giravano a mezza bocca e che strumentalmente confondevano il nostro senso dello Stato con l'abbandono del nostro leader. E comunque, per tutto quello che era successo e che non era successo, col passare dei giorni la prospettiva di rivedere Moro di nuovo tra noi era tenuta in piedi solo dalla speranza estrema.

Pochi minuti dopo le 13 del 9 di maggio del 1978 le Agenzie di Stampa comunicarono che il corpo di un uomo era stato ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani e poi che si trattava di Aldo Moro. Lasciai il lavoro e andai subito in via Caffaro. Lì, fu deciso di chiedere la celebrazione di una Messa nella Cattedrale di San Lorenzo.

Nel frattempo, le Organizzazioni Sindacali avevano proclamato uno sciopero generale per consentire a tutti i lavoratori di partecipare alla manifestazione in Piazza De Ferrari. La Cattedrale era zeppa di persone e tanti rimasero fuori. Ed è impossibile raccontare la commozione di quel momento. Finita la Messa partì da San Lorenzo un corteo che arrivò al Sacrario dei caduti per la Patria in piazza della Vittoria; davanti, lo striscione blu con la scritta Democrazia Cristiana e lo Scudocrociato, tenuto dal gruppo dirigente del Movimento Giovanile; ricordo Ugo, Paolo, Antonello, Roberto, Enzo che se n'è andato troppo presto e mi dispiace che la mia memoria si fermi lì.

Quando la testa del corteo, arrivando da via San Lorenzo, imboccò piazza De Ferrari piena all'inverosimile, la gente che lo vide ammutolì e il silenzio si propagò per la piazza; e man mano che lo striscione andava in direzione di via XX Settembre, la folla, in un silenzio assoluto, si apriva per lasciargli spazio.


Passammo lentamente dentro quel mare di persone,
alcuni certamente avversari politici, in un indimenticabile, rispettoso silenzio. Ci fu ancora un'altra, ultima iniziativa nel tardo pomeriggio del giorno in cui a Roma si era celebrato il funerale di Aldo Moro: un corteo in via XX Settembre organizzato dai giovani.


Eravamo poco più di un centinaio quando partimmo da Piazza della Vittoria,
con la inaspettata e gradita presenza di rappresentanti dei giovani del PRI e del PCI con le rispettive bandiere che si aggiunsero alle nostre bianche scudocrociate.


Poi successe un fatto che a ricordarlo, a più di quarant'anni, mi emoziono ancora:
man mano che salivamo in silenzio via XX Settembre, i passanti si inserivano nel corteo. All'altezza del Mercato Orientale eravamo già il doppio e la gente, di tutte le età, tanti con i capelli bianchi, continuava ad aumentare. Poco dopo il Ponte Monumentale, mentre sempre più gente entrava, molti si fermavano, si spostavano verso la strada e applaudivano, con i portici che funzionavano da amplificatori. Quando arrivammo a De Ferrari non so dire quanti eravamo, ma ricordo, e quelli che c'erano ricordano, che eravamo tantissimi. Tutta gente che non ho mai rivisto, ma che in quel triste pomeriggio, ci ha scaldato il cuore.


La manifestazione finì lì; avevamo deciso in partenza di non fare nessun discorso finale perché non c'erano parole da dire.
La vita non finì quel giorno e nemmeno il terrorismo. Da lì fino alla primavera del ’79 ben 7 democristiani genovesi furono vittime di attentati da parte del terrorismo rosso; avevamo la sede di via Caffaro presidiata dalle Forze dell'Ordine; cambiavamo sempre il tragitto tra la casa il lavoro; qualunque coppia di facce sconosciute, ci metteva in apprensione.



Ma non era quello il problema; essere democristiani per convinzione voleva dire avere questa consapevolezza.
Il problema era che tanta sinistra, anche interna al PCI, continuava a sostenere la tesi del “né con lo Stato né con le Brigate Rosse”. E questo, proprio non riuscivo a capirlo e non riesco a dimenticarlo.
 

* Gianni Vassallo, Segretario Dc Genova 1986-1992