economia

Ancora una volta la magistratura sta per dettare l'agenda alla politica
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 Anche a Genova si attende la sentenza - questione di giorni - del Consiglio di Stato sull'ex ILVA di Taranto, che il 31 maggio si è vista disporre - dalla locale Corte di Assise - la confisca degli impianti a caldo dell'acciaieria. L'imminente pronuncia definitiva della magistratura amministrativa potrebbe infatti sancire lo spegnimento dei macchinari inquinanti, in definitiva lo stop all'intero stabilimento. E il blocco di Taranto avrebbe ripercussioni anche sul polo di Cornigliano, che pur ridimensionato mantiene un ruolo strategico nell'azienda ex ILVA, oggetto di una controversa privatizzazione prima alla famiglia Riva (condannata a pesanti pene, insieme con l'ex presidente della Puglia Nicola Vendola, nel quadro del processo penale in corso) e poi all'Arcelor Mittal.

E' una commedia degli equivoci che si gioca su una molteplicità di piani, come gli scacchi tridimensionali:
e come questo gioco sperimentale, non sembra aver avuto successo. L'acciaio italiano, intuizione a suo tempo geniale di Oscar Sinigaglia, ingegnere e industriale di origini ebraiche, ha avuto un ruolo decisivo nella modernizzazione postbellica del Paese, fornendo la "spina dorsale" a settori fondamentali come le infrastrutture stradali e ferroviarie e l'edilizia. Ma col tempo la siderurgia, da opportunità di crescita e di occupazione, è diventata il terreno dello scontro dialettico tra ambiente e lavoro, tra salute pubblica e reddito.

La produzione nazionale ha perso rapidamente competitività, rispetto a comparti stranieri caratterizzati da vantaggi specifici sui due assi cartesiani che incidono sul prezzo del prodotto finito: le normative di tutela ambientale e il costo del lavoro. Nei Paesi occidentali questi due parametri, la sensibilità ecologica e le tutele sindacali, sono tenuti in maggior conto che altrove: così la globalizzazione del commercio ha marginalizzato la nostra siderurgia.

Già il dettaglio che siano i giudici, e non la politica, a scrivere il destino dell'industria italiana dell'acciaio è emblematico di un'impotenza figlia di disinteresse e superficialità. Nel quadro di una crescente voglia di rinazionalizzazione e di interventismo, lo Stato si è limitato a riacquistare da ArcelorMittal, nello scorso aprile, gli stabilimenti dell'ex ILVA. L’impianto di Taranto che sarà spento o tenuto acceso dal Consiglio di Stato è operativo da nove anni in deroga a un sequestro penale, deroga ottenuta in base a un programma di interventi di risanamento ambientale.

I ministri Giorgetti e Cingolani attendono di conoscere il quadro tracciato dal Consiglio di Stato per intervenire. Il titolare dell'Industria sostiene: "Manca la pronuncia per avere il polso della situazione. A quel punto sarà possibile capire in che quadro giuridico lo Stato, in qualità di azionista, potrà operare. Servono certezze per dare una prospettiva di crescita e sviluppo ad ILVA e all’acciaio in Italia". Il responsabile della Transizione Ecologica puntualizza: "Taranto va tutelata a tutti i costi, però le sentenze ci diranno che cosa succederà. Per me prima viene la salute, poi viene il PIL, poi viene il resto".

E Genova a che punto viene? Non è un mistero che le aree ex Italsider, ex Ilva, ora ArcelorMittal, siano ormai sproporzionate rispetto all'effettivo utilizzo a fini siderurgici. Su di esse ci sono le ambizioni dei terminalisti e degli operatori della logistica, istanze che hanno trovato ascolto presso le istituzioni, che al tabù dell'acciaio vorrebbero privilegiare quelle dell'occupazione. I sindacati naturalmente vigilano sull'evoluzione della questione, temendo più che legittimamente ripercussioni a Cornigliano sulla crisi tarantina. Ma una sapiente mediazione ad alto livello politico potrebbe trovare la quadratura, con la salvaguardia e magari l'aumento dei posti di lavori in una prospettiva di riconversione. E' una partita difficile ma va giocata.